giovedì 2 luglio 2009

Cronache dalle fornaci cinesi



Negli ultimi mesi sul blog del “vecchio stolto” mi è capitato di soffermarmi più di una volta sul problema del traffico di esseri umani legato alle fornaci clandestine sparse nelle campagne dello Shanxi. Come molti altri, ho sentito parlare per la prima volta di questa realtà un paio di anni fa, quando i media cinesi hanno ampiamente riportato la storia di un gruppo di genitori della provincia dello Henan che viaggiavano in lungo e in largo per il paese alla ricerca dei figli adolescenti scomparsi, con ogni probabilità rapiti da trafficanti e rivenduti come schiavi in migliaia di fornaci di mattoni clandestine. Di fatto, per tutta l’estate del 2007, in Cina, un’opinione pubblica indignata non parlava d’altro, prima che anche questa notizia inevitabilmente precipitasse nel dimenticatoio.
In questi giorni la casa editrice Cafoscarina ha pubblicato “Cronache dalle fornaci cinesi”, un volume su questo argomento da me curato. Invece di usare una prospettiva “esterna” per raccontare uno dei più gravi scandali del lavoro avvenuti in Cina negli ultimi anni, per una volta ho deciso di lasciare la parola ai cinesi stessi, traducendo una serie di reportage apparsi sulla stampa locale nell’arco temporale di oltre un anno, raccontando così ai lettori italiani il problema nella stessa maniera in cui a suo tempo è stato raccontato al pubblico cinese. L’obiettivo era quello di rendere l’idea di come un buon giornalismo investigativo, l’indignazione per la violazione dei più elementari diritti dell’individuo e la volontà di migliorare la società in cui si è immersi non siano prerogative esclusivamente occidentali, come fin troppo spesso ci viene raccontato.
Ricostruire ora uno scandalo avvenuto un paio di anni fa può sembrare una scelta un po’ tardiva, eppure ci sono almeno due ragioni per cui la storia delle fornaci non dovrebbe essere dimenticata. La prima ragione sta nel fatto che le fornaci di mattoni clandestine, con il loro carico di sangue e sudore, continuano ad esistere nelle campagne cinesi. Giusto un mese fa nella provincia dello Anhui, la polizia locale ha scoperto due fabbriche di mattoni in cui oltre trenta disabili venivano tenuti in condizioni di schiavitù ed è tristemente noto come ancora oggi siano moltissimi i genitori alla ricerca dei figli scomparsi. La seconda ragione è che la storia delle fornaci è ben rappresentativa del ruolo dei media nella Cina di oggi: ben lungi dall’essere tutti veline del Partito, enormemente rafforzati dalla presenza di internet e dall’attivismo di un “popolo della rete” estremamente sensibile e coeso, essi sono una potente forza sociale di cui il governo, per quanto autoritario, non può non tenere conto.
Più che una denuncia, questo libro è una testimonianza. Se da un lato l’obiettivo è quello di raccontare il persistere nella società cinese dei lati oscuri dello sprezzo della sofferenza altrui a favore del personale guadagno, della violenza e delle torture vissute con naturalezza in una società rurale per alcuni versi mai uscita dall’epoca feudale, dall’altro esso si propone di trasmettere un barlume di speranza per il futuro, descrivendo come in Cina esista una società civile composta da avvocati, giornalisti, blogger e semplici cittadini pronti a mobilitarsi per aiutare i deboli e gli emarginati. Un altro aspetto di questo immenso paese che forse varrebbe la pena raccontare più spesso.

Qui di seguito riporto l’introduzione al volume:


Quando alla fine di luglio del 2007 in uno dei quartieri del centro di Pechino sono stati avvistati alcuni fiocchi di neve, a molti cinesi è venuto in mente un antico adagio popolare: se nevica d’estate nella capitale, una gravissima ingiustizia è stata commessa. In un’epoca di continue prepotenze e disuguaglianze, quale crimine degli uomini poteva essere così grave da arrivare a suscitare addirittura la collera della natura? Senza alcuna esitazione, i pensieri dei pechinesi sono immediatamente corsi alle fornaci di mattoni clandestine della provincia dello Shanxi, a quelle migliaia di prigioni a cielo aperto ove chiunque si fosse degnato di guardare avrebbe visto dei ragazzi appena adolescenti trascinare pesantissimi carri carichi di mattoni, dei disabili maltrattati e derisi occuparsi di lavori così pericolosi che nessuna persona sana di mente avrebbe mai fatto volontariamente, giovani ustionati dalle ferite mai curate, il tutto sotto l’occhio vigile e feroce di sorveglianti e cani da guardia. Per anni nessuno aveva guardato, non gli organi della pubblica sicurezza locale, non gli uffici preposti alla tutela dei lavoratori e neppure gli abitanti dei villaggi in cui queste fornaci operavano. Poi un giorno le cose erano inaspettatamente cambiate.
Il cambiamento è nato dall’azione di alcuni genitori coraggiosi, conosciutisi attraverso gli annunci per le persone scomparse pubblicati sulle pagine di alcuni giornali locali della provincia dello Henan, una delle zone economicamente depresse del paese, punto d’origine di imponenti flussi migratori. All’inizio del 2007, i loro figli erano scomparsi uno dopo l’altro in circostanze molto simili nelle strade di Zhengzhou, il capoluogo provinciale, ed erano bastate alcune settimane di angosciate quanto infruttuose ricerche perchè questi padri e queste madri si convincessero che i ragazzi erano finiti nella rete di trafficanti di esseri umani che approvvigionava le fornaci di mattoni dello Shanxi, un inferno ancora sconosciuto ai più. Sei genitori si erano allora incontrati a Zhengzhou ed avevano deciso di aiutarsi a vicenda nella comune sventura, dando vita a quella piccola organizzazione che successivamente i media cinesi avrebbero battezzato “lega per la ricerca dei figli”.
I genitori della “lega” correvano in lungo e in largo per le campagne delle zone meridionali dello Shanxi, perlustrando ogni singola fornace, verificando ogni traccia, interrogando lavoratori e abitanti dei villaggi. Essi sopportavano stoicamente le umiliazioni e gli attacchi quotidiani da parte dei padroni delle fornaci e dei loro tirapiedi. Ogni tanto riuscivano persino a salvare qualche ragazzo, anche se purtroppo non si trattava mai di uno dei loro figli. È stato allora che un secondo importante personaggio è entrato in scena: il giornalista televisivo Fu Zhenzhong. Raccogliendo una segnalazione telefonica giunta proprio da uno dei genitori della “lega”, questo giornalista di una piccola rete televisiva locale dello Henan ha deciso di investigare a fondo la storia delle fornaci (sulla quale nutriva non pochi dubbi) e per farlo si è unito a questi padri e a queste madri nelle loro peregrinazioni alla ricerca dei figli. È stata proprio la telecamera nascosta di Fu Zhenzhong a registrare le prime agghiaccianti immagini delle fornaci, trasmesse in televisione per la prima volta il 19 maggio del 2007 alle 7.30 di sera. L’effetto è stato immediato e dirompente: nei giorni successivi sono stati almeno un migliaio i genitori che si sono rivolti alla rete televisiva per chiedere aiuto.
Il merito di Fu Zhenzhong è stato quello di aver esposto mediaticamente lo scandalo e di aver fatto conoscere al pubblico l’esistenza di quelle fornaci di mattoni clandestine di cui ben pochi prima erano al corrente. È stato solamente grazie alle immagini girate da Fu Zhenzhong che centinaia di genitori sono finalmente riusciti a trovare una direzione verso la quale orientare le proprie ricerche, uscendo dall’abisso della disperazione più nera. Eppure non bisogna dimenticare che la rete televisiva di questo intraprendente giornalista non è altro che una realtà locale, il cui seguito è limitato esclusivamente alla provincia dello Henan, la zona in cui la maggior parte dei ragazzi era scomparsa. Per capire come lo scandalo sia scoppiato a livello nazionale è dunque necessario introdurre un terzo personaggio: la signora Xin Yanhua, una giovane donna di Zhengzhou. Quando nei primi mesi del 2007 suo nipote è stato salvato da una fornace di mattoni dello Shanxi da alcuni genitori della lega per la ricerca dei figli, essa, mossa da riconoscenza, ha deciso di aiutare a modo suo le ricerche di questi padri e queste madri. Sfruttando il proprio livello superiore di istruzione, essa ha inizialmente tentato di coinvolgere la stampa nel dramma di queste famiglie, ma poi, non avendo ottenuto alcun risultato significativo, ha scelto di servirsi di un nuovo strumento: la rete. Il 6 giugno del 2007, Xin Yanhua ha pubblicato su un forum locale dello Henan un post intitolato “Quattrocento padri chiedono aiuto piangendo sangue: chi verrà a salvare i nostri figli?”. Le reazioni sono state immediate: in poche ore tutti i maggiori siti internet cinesi avevano riportato il testo dell’appello, accompagnandolo con delle foto tratte dai reportage di Fu Zhenzhong. Solo allora i giornalisti dei principali organi televisivi e della carta stampata a livello nazionale hanno cominciato ad affluire senza sosta nello Shanxi ed ondate di articoli, commenti e invettive sulle fornaci dello Shanxi sono apparsi su tutti i media cinesi.
I media cinesi hanno continuato a seguire gli sviluppi della vicenda per almeno due mesi, fino alla prima metà di agosto. In questo lasso di tempo, in seno all’opinione pubblica si è sviluppato un infuocato dibattito su chi dovesse assumersi la responsabilità di quanto era accaduto. Alcuni si limitavano a rimpiangere i tempi del presidente Mao, quando, a sentire loro, una cosa del genere non sarebbe mai potuta succedere, altri proponevano analisi più articolate, in cui mettevano in discussioni le basi stesse del sistema politico cinese. Nel frattempo giovani attivisti partivano a proprie spese per la provincia dello Shanxi per unirsi alle ricerche dei ragazzi scomparsi e gruppi sempre più grandi di genitori e di volontari si aggiravano per le campagne passando al setaccio tutte le fornaci di mattoni. Le massime cariche del Partito e dello Stato emettevano indicazioni trasudanti indignazione e il governo centrale cinese, preoccupato per gli sviluppi del caso, cercava di recuperare il terreno perduto lanciando operazioni di polizia su scala interprovinciale, adottando piani quinquennali per la lotta al traffico di esseri umani e approvando leggi sul lavoro che sui media ufficiali venivano fatte passare come una risposta concreta alla tragedia delle fornaci.
Dal mese di agosto l’attenzione dell’opinione pubblica è drammaticamente diminuita e con essa quella delle autorità. A metà agosto, nel corso di una conferenza stampa il governo centrale ha annunciato che la grande indagine nazionale sulle fornaci di mattoni clandestine si era conclusa e che nel corso delle operazioni erano state salvate trecentocinquantanove persone, tra le quali dodici ragazzi e centoventuno adulti con problemi mentali. Com’era possibile allora che molti genitori non avessero ancora ritrovato i propri figli? Diversi testimoni raccontano come nel momento in cui la notizia degli imminenti controlli si era diffusa tra la popolazione, intere fornaci si fossero svuotate dalla sera al mattino, senza che dei lavoratori rimanesse più traccia. Eppure, anche di fronte a questi fatti, non sono stati molti quelli che hanno continuato a porsi degli interrogativi. Mentre le autorità davano inizio ad una controffensiva con la quale i genitori dello Henan (in particolare la signora Xin Yanhua) e i media venivano accusati di allarmismo ed esagerazione, alcune persone isolate hanno continuato a lottare perché la vicenda giungesse ad una vera conclusione, primo fra tutti IamV, uno pseudonimo dietro al quale si nasconde un giornalista che all’epoca era redattore di un importante giornale della Cina meridionale. IamV, che ha gentilmente accettato di scrivere la postfazione al presente volume, alla fine dell’estate 2007 ha aperto diversi blog su cui ancora oggi continua a fornire aggiornamenti sui principali protagonisti della vicenda, pubblica annunci per le persone scomparse e lancia iniziative benefiche come raccolte di fondi, forum e discussioni.
Sono decine, se non centinaia, le vite, le storie, le esperienze che si intrecciano nello scandalo delle fornaci clandestine, uno scandalo che tuttora prosegue nella generale indifferenza. Se alcuni genitori hanno ormai potuto riabbracciare i propri ragazzi, dei giovani che in ogni caso non saranno mai più quelli che erano prima, molti altri vivono tuttora in uno stato di costante angoscia, mentre vedono le proprie speranze affievolirsi di giorno in giorno. Quasi due anni dopo, alcune delle fornaci che allora erano finite nell’occhio del ciclone sono ancora al loro posto, rivestite da un sottile strato di legalità ispirato dalla prudenza, mentre molte altre sono sparite senza lasciare tracce. Se forse non è più opportuno parlare di fornaci associando questa realtà esclusivamente ai limiti geografici della provincia dello Shanxi, resta il fatto che fenomeni analoghi alle fornaci clandestine continuano ad esistere in diversi angoli bui della Cina, nel profondo delle campagne, là dove nessuno va a guardare. La storia narrata in queste pagine infatti non conosce limiti di tempo e di spazio: è l’eterno racconto dei forti che opprimono i deboli, dei furbi che approfittano dei semplici, dell’avidità di chi non ha mai abbastanza e del silenzio complice di intere comunità di gente impegnata a tirare avanti. Quella delle fornaci è una storia che non può invecchiare.
Interessandomi ormai da tempo alle varie sfaccettature del mondo del lavoro in Cina, sin dall’inizio ho sentito il bisogno di approfondire questa realtà. È stato leggendo gli articoli che all’epoca venivano pubblicati sulla stampa cinese che mi è venuta l’idea alla base di questo volume: perché per una volta non raccontare uno scandalo del lavoro in Cina partendo dal punto di vista dei cinesi stessi? Perché non utilizzare materiali originali per descrivere il flusso degli eventi, la psicologia dei personaggi, l’indignazione dei cittadini? Perché non approfittare di tutto ciò per estendere la riflessione al ruolo dei media cinesi nella società cinese contemporanea? Ecco dunque le ragioni per cui in questo libro sono semplicemente raccolti sei articoli apparsi sulla stampa cinese tra il giugno del 2007 e il marzo del 2008, ognuno dei quali è introdotto da una mia breve nota esplicativa. A dispetto della potenziale varietà di fonti disponibili, per garantire una certa continuità alla narrazione ho scelto di privilegiare due importanti pubblicazioni della Cina meridionale, il Nanfang Zhoumo e il Nandu Zhoukan, entrambi settimanali del gruppo editoriale Nanfang Jituan che nel tempo sono riusciti a costruirsi una reputazione anche a livello internazionale, media della carta stampata famosi per le loro coraggiose scelte editoriali e per la qualità di un giornalismo investigativo che non ha nulla da invidiare al suo omologo occidentale.
Erano tante le storie che avrei potuto scegliere, ma ho deciso di raccontare lo scandalo delle fornaci perché esso permette di capire qualcosa in più della realtà dei media cinesi. Lo sviluppo del caso delle fornaci clandestine sui media cinesi infatti è fortemente paradigmatico, la classica parabola del “giornalista solitario” che, volutamente o meno, mette in crisi il sistema. La catena di eventi è sempre la stessa: viene commessa un’ingiustizia; le vittime vagano per mesi nella generale indifferenza da un funzionario all’altro, nella speranza che qualcuno le aiuti; un giornalista viene a conoscenza della cosa e decide di approfondire la loro storia; il giornale, spesso qualche realtà locale relativamente piccola, pubblica l’indagine; internet e i media nazionali riprendono l’articolo; in seguito alla reazione di lettori e netizen si scatena una tempesta a livello nazionale.
Solamente nella migliore delle ipotesi, questo percorso giunge alla sua conclusione. Spesso una potenziale notizia si blocca a metà strada, di fronte ad uno dei tanti ostacoli che possono frapporsi ad una sua pubblicazione: può essere la corruzione del giornalista, che accetta tangenti in cambio del silenzio; può essere una prudente autocensura del giornale e della rivista; può essere un diretto intervento del potere politico, per tramite di “indicazioni” emanate dagli organi amministrativi a qualsiasi livello. Solamente le notizie che riescono a superare tutte queste barriere, possono giungere all’occhio e all’orecchio del grande pubblico e scatenare la dovuta dose di indignazione e risentimento. Naturalmente esiste anche un tipo di censura che opera a posteriori, stroncando la circolazione di una storia già pubblicata, ma ciò non succede tanto spesso quanto si crede: anche in Cina la prevenzione prevale sulla repressione, tanto più in considerazione del fatto che i nuovi media, in particolare internet, sono molto difficili da controllare.
In conclusione, se da un lato questo volume si propone di presentare al pubblico italiano uno dei più gravi scandali del lavoro avvenuti in Cina negli ultimi anni, dando un nome ed un volto ai protagonisti di questa tragedia, evitando le generalizzazioni e umanizzando in questo modo la sventura che ha colpito la psiche di un intero popolo, dall’altro l’obiettivo è anche quello di utilizzare alcune fonti di prima mano per dare al lettore straniero un’idea di quello che sono i media nella Cina di oggi, della forza e del coraggio di questi giornalisti e di queste persone che, a dispetto di tutte le forze avverse, lottano per costruire una società migliore. La decisione di raccontare la storia delle fornaci di mattoni attraverso gli occhi dei media cinesi è stata una scelta ponderata, tanto più che essa presenta l’indubbio vantaggio di prevenire facili strumentalizzazioni su un tema delicato come quello del lavoro nella Repubblica Popolare Cinese. Di fatto, anche in una vicenda tanto tragica è possibile trovare un punto luminoso, e questo sta proprio nel ruolo dei media, della rete e più in generale della nuova società civile cinese.

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