domenica 31 maggio 2009

La rete in Cina tra manipolazione dell’informazione e intimidazione giudiziaria


In uno dei miei post precedenti sostenevo che la peculiarità dei netizen cinesi sta non tanto nel loro numero, quanto nell’attivismo e nel senso di coesione che essi continuano a dimostrare a dispetto del contesto molto difficile in cui si trovano ad operare. E’ chiaro che le potenzialità della rete come strumento di mobilitazione di massa non sfuggono alle autorità cinesi, le quali da anni sono alla ricerca di strumenti adeguati per il controllo dell’informazione sul web. In base ad una mia sommaria analisi, oserei dire che ad oggi sono tre le strategie principali di cui il governo cinese si serve per tenere sotto controllo il “popolo della rete”: la censura, la manipolazione dell’informazione e l’intimidazione per via giudiziaria. Se i media occidentali tendono a privilegiare la problematica della censura, le altre due strategie – più subdole, più complesse e pertanto più pericolose – spesso rimangono in secondo piano.


La manipolazione dell’informazione

Consideriamo innanzitutto la questione della manipolazione dell’informazione. In Cina esiste un vero e proprio esercito di persone che sono pagate esclusivamente per postare su internet commenti orientati nella direzione stabilita di volta in volta dai loro datori di lavoro, nella maggior parte dei casi le autorità locali. Questi manipolatori professionisti vengono chiamati “partito dei cinquanta centesimi” (wumaodang), un nomignolo che viene loro assegnato in base a quello che si vuole sia il loro compenso per ogni singolo commento pubblicato in rete. Nella migliore delle ipotesi essi si limitano a pubblicare apologie nei confronti delle autorità, nella peggiore mettono in circolazione menzogne talmente verosimili che un lettore non riesce più a distinguere il vero dal falso, cadendo in un vortice di contraddizioni che inibisce una sua qualsiasi presa di posizione.
Per avere un esempio di apologia, basta cliccare su questo link, che rimanda ad una discussione attualmente in corso sul forum Tianya. Il post iniziale è come segue: “Prima non lo pensavo, ma ultimamente ho visto molte foto e anche alcuni filmati del BOSS [sic, riferito al presidente Hu Jintao] e mi sono reso conto che il nostro BOSS non solo è assolutamente maestoso e serio nelle maniere e nei modi, ma anche che la vera conoscenza non è appariscente…”. Il dibattito che segue sul forum lo può seguire anche chi non sa il cinese, perché non è nient’altro che una lunga serie di fotografie e brevi filmati del presidente Hu Jintao accompagnati da commenti estasiati.
Per avere un chiaro esempio di manipolazione dell’informazione invece si può considerare quanto è avvenuto nel giugno dell’anno scorso, in occasione dell’incidente di massa di Weng’an nel Guizhou, quando il presunto insabbiamento dell’omicidio (o suicidio?) di una ragazzina da parte della polizia ha innescato una reazione a catena che ha travolto i funzionari locali e ha rischiato di estendersi a tutta la provincia, se non a tutto il paese. Allora il “partito dei cinquanta centesimi” è intervenuto diffondendo su internet voci contrastanti che nessuno ha mai avuto modo di verificare, gettando fango sugli stessi famigliari della vittima e difendendo l’operato delle attività locali. Di fronte a versioni dei fatti completamente opposte, nessuno è stato più in grado di distinguere la verità dalla menzogna. A confronto dell’ingenuità di strategie come l’encomio del grande “boss” descritto in precedenza, azioni come questa fanno rabbrividire per le loro potenziali implicazioni per il futuro dell’informazione sulla rete, in Cina come nel resto del mondo.

L’intimidazione giudiziaria

Quella dell’intimidazione giudiziaria è una strategia che le autorità cinesi hanno deciso di adottare solo di recente, come risulta evidente se si prendono in considerazione un paio di casi che hanno suscitato scalpore negli ultimi mesi.
Innanzitutto vi è la storia di Wang Shuai, un giovane di ventiquattro anni originario della contea di Lingbao nello Henan, ma da tempo residente a Shanghai per lavoro. Il 12 febbraio scorso, mentre si trovava a Shanghai, egli ha pubblicato un post in cui denunciava alcuni abusi delle autorità della propria contea di origine nell’ambito della requisizione delle terre dei contadini per far spazio ad una nuova area industriale. Allora questa sua denuncia è stata immediatamente ripresa dai principali forum e portali cinesi, un fatto che non solo ha sucitando l’indignazione del pubblico, ma ha anche attirato l’attenzione delle autorità. Trovandosi lontano da casa, Wang pensava di essere al sicuro da eventuali ritorsioni, ma il 6 marzo ha avuto una brutta sorpresa: due poliziotti in borghese della polizia di Shanghai, accompagnati da due poliziotti provenienti da Lingbao, hanno prelevato il giovane sul posto di lavoro e lo hanno posto in detenzione amministrativa.
Né gli amici né i famigliari hanno ricevuto alcuna notifica. Dal 6 al 9 marzo, Wang Shuai è stato tenuto in guardina a Shanghai, poi è stato trasferito a Lingbao in treno, incatenato alla sua cuccetta tra gli sguardi sospettosi ed impauriti degli altri passeggeri. Solamente il 13 marzo ha riottenuto la libertà, ufficialmente per insufficienza di prove, in realtà in seguito ad un accordo informale stretto tra la sua famiglia, avvertita nel frattempo, e la polizia locale. Spinto dalla pressione del “popolo della rete”, a metà aprile il vice-capo della provincia dello Henan, nonché direttore del dipartimento della pubblica sicurezza provinciale, ha ammesso pubblicamente che l’arresto è stato il frutto di un errore degli organi di polizia locali e ha affermato che sono già state avviate le procedure per garantire a Wang Shuai un rimborso statale. Intervistato a inizio aprile dal Qingnianbao, Wang ha commentato: “All’inizio pensavo solo di aiutare gli amici della contea a fare qualcosa, il risultato è che mi sono messo in guardina. Ripensandoci adesso, il fatto di essere riuscito ad uscire è già una grande fortuna: si può dire che ho imparato la lezione”.
Il secondo caso è avvenuto in Mongolia Interna e si è svolto in un arco di tempo di oltre due anni, tra il 2007 e il 2009. Pur presentando caratteristiche analoghe al caso già descritto, esso non ha suscitato una reazione altrettanto forte nell’opinione pubblica cinese. Dopo aver ricevuto la telefonata di un amico che si lamentava della requisizione illegale di terreni agricoli nelle sua terra d’origine, Wu Baoquan, un uomo d’affari di trentanove anni originario della città di Ordos in Mongolia Interna da tempo residente a Qingdao nello Shandong, nel settembre del 2007 ha deciso di pubblicare un post di denuncia. L’unico risultato che ha ottenuto è stato che il 16 settembre, appena dieci giorni dopo la pubblicazione del post, tre poliziotti di Ordos hanno bussato alla sua porta e lo hanno riportato nella città natale, mettendolo in detenzione amministrativa per dieci giorni. Il giorno successivo anche l’amico che gli aveva raccontato i fatti è andato incontro alla stessa sorte.
Per nulla intimidito da questa esperienza, Wu Baoquan nell’ottobre e novembre del 2007 ha pubblicato un’altra serie di post in cui, con toni esasperati, portava all’attenzione del pubblico nuovi problemi legati alla situazione dei contadini del suo luogo d’origine, senza però suscitare grandi reazioni da parte dei netizen. Il 17 aprile del 2008 mentre si trovava nella città di Shenyang nella provincia del Liaoning, egli è stato nuovamente arrestato dalla polizia di Ordos, questa volta con l’imputazione di aver diffamato altre persone e il governo diffondendo informazioni fasulle. Condannato in primo grado ad un anno di carcere per diffamazione, Wu Baoquan ha deciso di far ricorso, ma non ha ottenuto altro che un inasprimento della pena: il 10 marzo 2009 egli è stato condannato a due anni di carcere. Un ulteriore ricorso ha confermato questa sentenza, che il 17 aprile 2009 è passata definitivamente in giudicato.
Una delle ragioni per cui questi due casi hanno fortemente allarmato i netizen cinesi, è il fatto che le indagini di polizia hanno coinvolto gli organi della pubblica sicurezza di province completamente differenti. Si tratta di un segnale da non sottovalutare in un contesto frammentato come quello cinese, in cui ogni provincia ed ogni dipartimento tende a pensare e ad agire per conto proprio, sollevando in continuazione questioni di giurisdizione o competenza. Ciò dimostra la volontà delle autorità cinesi di rafforzare la cooperazione per far fronte comune nei confronti delle minacce provenienti dalla rete.

Conclusioni

Come ho già avuto modo di scrivere, il “popolo della rete” è una realtà estremamente attiva in Cina e come tale costituisce un motore di cambiamento sociale con enormi potenzialità. Eppure, nonostante ci siano alcune ragioni per essere ottimisti, sono ancora molte le sfide con cui i netizen cinesi devono confrontarsi. Considerando il fatto che la censura è facilmente aggirabile e l’intimidazione giudiziaria, per quanto minacciosa, rimane una realtà marginale difficilmente applicabile nei casi più sensibili a causa del senso di solidarietà intrinseco al “popolo della rete” (il principio in questo caso è quello dell’”ucciderne – metaforicamente – uno per educarne cento”), il vero problema rimane quello della manipolazione dell’informazione: in assenza di media completamente liberi, la possibilità di occultare le realtà più scomode attraverso la creazione sistematica di una cortina di menzogne rimane l’unica carta vincente nelle mani delle autorità.

mercoledì 27 maggio 2009

Il vecchio stolto è stato armonizzato



Dopo alcuni mesi di relativa tranquillità, una decina di giorni fa le autorità cinesi hanno deciso che era ora di “armonizzare” nuovamente blogspot. Con il quattro giugno alle porte, era solamente una questione di tempo e nessuno si è veramente stupito di fronte a questa ennesima infantile censura: il governo cinese su queste cose non si smentisce mai.
Tra milioni di altri blog, anche il vecchio stolto è stato armonizzato. Se sono riuscito a pubblicare gli ultimi post, è stato solamente attraverso un proxy e grazie all’aiuto di alcune persone che dall’estero mi hanno aiutato ad inserire i contenuti. Eppure, nonostante tutto, questo blog rimane pienamente accessibile ai lettori in Cina, a patto di essere disposti a fare il minimo sforzo di scaricare qualche programma. Nell’epoca della rete in Cina, l’unico strumento in grado di garantire il successo della censura è esclusivamente la pigrizia della gente.
Ho sempre pensato e continuo a pensare che la censura sia un fenomeno marginale se si vogliono comprendere le dinamiche della rete nella Cina di oggi. Su questo non cambio idea, pertanto non ho intenzione di approfittare di questa occasione per lanciarmi in filippiche o sermoni sull’importanza della libertà di espressione, come ho letto da più parti in occasione del blocco di YouTube.
Che cosa succede quando un blog viene censurato? Semplicemente si trasferisce. Quando le autorità cinesi hanno chiuso la piattaforma Bullog.cn qualche mese fa, è stato come assistere ad un esplosione in cui frammenti impazziti si sono sparsi per tutta la blogosfera. Dove un tempo c’era una sola massiccia entità, poi c’erano migliaia di singoli blog scritti da persone ancora più arrabbiate di prima. E’ evidente che nessun blogger cinese o straniero è disposto a rinunciare ad esporre le proprie idee solamente perché è stato “armonizzato”.
Il vecchio stolto nel suo piccolo non fa eccezione. Ora che la sua accessibilità dalla Cina si è visibilmente ridotta, esso si trasferisce in una nuova sede, al riparo da ogni “armonizzazione”, su un nuovo blog che si chiamerà “Appunti Cinesi” e sarà ospitato sulla pagina web de L’Unità (questo è il link). Nel frattempo, questo blog non verrà chiuso: anche se si tratta di un esperimento nato quasi per gioco non molti mesi fa, ormai mi ci sono affezionato. Il vecchio stolto continuerà a cercare di spostare la montagna ancora per molto tempo.

domenica 24 maggio 2009

Concentrarsi sulla sopravvivenza: in memoria di Zhao Tielin (1948-2009)


Questa sera, mentre camminavo in uno hutong nei pressi di piazza Tiananmen di ritorno dal concerto pechinese di Ennio Morricone, mi è capitato di passare di fronte ad un ristorante che solitamente funge da ritrovo per alcuni fotografi ed artisti cinesi. E’ stato proprio intorno ad uno di quei tavoli che poco più di un anno fa ho avuto modo di conoscere Zhao Tielin, uno dei più importanti fotografi cinesi contemporanei, noto al grande pubblico soprattutto per una serie di opere sull’argomento della prostituzione, la più famosa delle quali è probabilmente il volume “Concentrarsi sulla sopravvivenza”. Dal momento che nelle scorse settimane su internet avevo letto voci allarmanti sulla salute di Zhao Tielin, mi sono fermato a chiedere informazioni al padrone del locale ed è stato così che sono venuto a sapere che egli si è spento la scorsa settimana in seguito ad una lunga malattia.


Nato nel 1948, l’anno precedente la fondazione delle Repubblica Popolare Cinese, da due alti quadri del Partito Comunista, Zhao Tielin ha attraversato le stesse crisi e le stesse tribolazioni che hanno colpito un’intera generazione di cinesi. Alla fine degli anni Cinquanta ha assistito alla caduta politica del padre, personaggio importante nell’establishment dell’esercito. Durante la Rivoluzione Culturale, ha vissuto la tragedia del suicidio della madre, sottoposta a continue campagne di critica e denuncia. Alla fine degli anni Sessanta è dovuto partire per la campagna dello Henan, anche allora una delle regioni più arretrate del paese, ove è rimasto per più di dieci anni svolgendo i lavori più umili. Una volta rientrato a Pechino alla fine degli anni Settanta, è riuscito a superare l’esame di ammissione all’Istituto Aeronautico di Pechino dove ha proseguito gli studi nel campo dell’automazione industriale, solamente per rendersi conto dopo la laurea di essere già troppo vecchio e di non poter competere con i laureati più giovani. Alla fine degli anni Ottanta, avvalendosi del prestigio del padre, le cui fortune politiche avevano avuto una svolta per il meglio con la fine della Rivoluzione Culturale, ha deciso di “gettarsi nel mare” degli affari aprendo due imprese tecnologiche, una a Zhengzhou nello Henan ed un’altra ad Haikou sull’isola di Hainan, le quali però sarebbero fallite miseramente dopo qualche anno.


A quarantasei anni, senza un soldo e senza un lavoro, Zhao Tielin si è trovato a dipendere economicamente da quello che per anni per lui era stato solamente un hobby: la fotografia. In particolare, un soggetto privilegiato dei suoi lavori erano le prostitute che lavoravano nei locali dell’isola, le quali lo contattavano spesso per commissionargli dei ritratti che poi finivano per decorare le pareti delle loro stanze. Negli anni in cui era stato impegnato a porre le basi per la sua attività imprenditoriale ad Hainan, Zhao Tielin aveva avuto modo di conoscere molte di queste ragazze, in quanto si trovava spesso a dover invitare a cena quadri e banchieri del posto, personaggi che potevano garantirgli un fondamentale sostegno nei suoi affari. Generalmente i loro incontri si svolgevano nei locali e nelle sale da ballo di Haikou, luoghi frequentati da quelle che allora come oggi venivano definite “donne da bar”, ragazze di bell’aspetto provenienti da tutta la Cina, attirate ad Hainan dal miraggio di un buon lavoro e di un facile guadagno.


E’ stato allora, di fronte al suo fallimento come imprenditore e all’ennesima crisi della sua esistenza, che Zhao Tielin ha deciso di dare una nuova inattesa svolta alla sua vita, intraprendendo la carriera artistica e dedicando il proprio lavoro fotografico all’indagine sociale sul problema della prostituzione. Il suo percorso si è intrecciato in maniera sempre più stretta con quello di un folto gruppo di ragazze che erano giunte dalle campagne di tutta la Cina con molte speranze e che alla fine si erano trovate a vendere il proprio corpo per sopravvivere. Per alcuni anni Zhao Tielin ha passato intere giornate con loro, ha vissuto negli stessi luoghi, le ha fotografate, ci ha conversato, ha ascoltato le loro storie ed i loro problemi e le ha accompagnate quando occasionalmente tornavano ai loro villaggi natali. La sua penna e l’obiettivo della sua macchina fotografica hanno poi raccontato al mondo il dramma quotidiano di queste giovani donne e i retroscena più oscuri di una società in transizione.


Per commemorare Zhao Tielin, qui di seguito ripropongo una sua intervista che ho registrato a Pechino nel maggio del 2008. In essa vengono toccati alcuni dei punti chiave della vita e dell’opera di questo autore: la sua storia personale, le ragioni dell’interesse verso la questione sociale delle prostitute, il metodo della ricerca sul campo,l’importanza della storia, il valore della fotografia come testimonianza. Il ritratto che ne emerge è quello di un intellettuale cinese moderno, un autore in grado di sfruttare tutti gli spazi a sua disposizione per portare avanti una critica sociale corrosiva senza mai valicare i limiti impliciti stabiliti dal sistema politico. Eppure, interrogato su questo punto, Zhao Tielin è stato molto chiaro: la storia è la storia, nessun individuo può cambiarla, tantomeno lo scrittore con le sue opere. Questo fatalismo di fondo, la fiducia nelle forze impersonali della storia e la convinzione che la fotografia possa avere al massimo un valore testimoniale per i posteri, non hanno tuttavia impedito a Zhao Tielin di dare un contributo fondamentale alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica cinese sui drammi della prostituzione e dell’emarginazione sociale in un paese in cui, per usare le sue parole, l’importanza del denaro è tale che “si ride dei poveri ma non delle prostitute”.



Come prima cosa, potrebbe brevemente raccontarci come Zhao Tielin è diventato Zhao Tielin? Quali sono state le esperienze fondamentali che l’hanno portata ad essere quello che è?

Sono nato nel 1948, nel periodo in cui in Cina c’era ancora la guerra civile tra il Partito Nazionalista e il Partito Comunista. Sono nato sul campo di battaglia. I miei genitori erano entrambi militari del Partito Comunista ed io teoricamente avrei dovuto beneficiare di questo stato di cose, ma alcuni anni dopo la Liberazione, precisamente il 17 settembre del 1959, sul Quotidiano del Popolo è apparso un articolo nel quale si riportava un’ordinanza del Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale Popolare con la quale mio padre veniva sollevato dal suo incarico perchè aveva commesso degli errori. Come conseguenza abbiamo dovuto lasciare gli strati superiori della società, quella parte della società che beneficiava della situazione. Poi c’è stata la Rivoluzione Culturale e mia madre, che poteva essere considerata un quadro dirigente, è stata sottoposta a sessioni di critica e lotta nella sua unità di lavoro e un giorno, non potendone più degli spietati pestaggi e delle umiliazioni, si è suicidata gettandosi in un fiume qui a Pechino. Allora aveva 43 anni. Da quel momento non ho più avuto nessun appoggio e allora sono partito per la campagna. Correvo da una parte all’altra del paese, cercando aiuto presso parenti e amici, ma nessuno di questi mi voleva accogliere, a causa dello sfondo politico della mia famiglia. Sono corso ovunque, poi alla fine mi sono fermato in campagna e sono diventato un contadino: coltivavo la terra, insegnavo alla scuola elementare, facevo lavori pesanti. Ho fatto il muratore, ho cotto mattoni, ho persino costruito case, quindi posso dire di aver fatto esperienza di molte cose. Dopo la fine della Rivoluzione Culturale, ho superato l’esame di ammissione all’università e sono entrato nell’Istituto Aeronautico di Pechino per studiare automazione industriale. Dopo aver studiato automazione sono rientrato nella corrente principale della società e nel mio dipartimento ricoprivo la carica di capufficio. Eppure presto mi sono reso conto che ormai ero invecchiato: tutti noi abbiamo sprecato dieci anni a causa della Rivoluzione Culturale, dieci anni passati a lavorare senza il tempo per studiare. Quando ho iniziato a frequentare l’università avevo già 29 anni e mi sono laureato a 33 anni, quando gli altri normalmente si laureano a 20 anni. Non c’era modo di competere con gli altri, e pertanto ho abbandonato il dipartimento e mi sono messo a fare indagini sulla società.

La sua vita ricalca in maniera fedele quella di un’intera generazione di cinesi. La generazione nata negli anni Cinquanta ha dovuto fare i conti con crisi pressochè continue: alla fine degli anni Cinquanta avete dovuto affrontare i tre anni di carestia dovuti al fallimento del Grande Balzo in Avanti, negli anni Sessanta siete stati coinvolti nella Rivoluzione Culturale, negli anni Settanta siete stati mandati in campagna per essere rieducati dai contadini. Quando poi siete tornati in città negli anni Ottanta eravate già avanti con l’età, non avevate ricevuto nessuna istruzione e non c’era lavoro a sufficienza per tutti, pertanto lo Stato ha deciso di mandare anticipatamente in pensione i vostri genitori e di farvi subentrare al loro posto nelle grandi imprese statali, solamente per poi licenziarvi negli anni Novanta in seguito alle grandi riforme del sistema industriale. Per queste ragioni molti vi definiscono una “generazione perduta”. Lei cosa pensa di questa definizione?

Questa definizione è superficiale. La Cina è un paese molto complicato, completamente diverso dai paesi europei e dall’Italia. Per diversi millenni la Cina ha avuto un sistema politico in cui l’imperatore era al centro e solamente ora sta gradualmente trasformandosi in una società civile. Ora siamo nel mezzo di questo processo di transizione, una transizione che sicuramente proseguirà e un giorno giungerà a compimento. Perchè è così? Da un lato ora noi abbiamo un sistema autoritario centralizzato, vale a dire che è l’autorità che gestisce lo Stato, ma allo stesso tempo sono state eliminate le differenze politiche nell’identità degli individui. In passato vi erano proprietari terrieri, contadini ricchi, controrivoluzionari, elementi di destra, e tutti questi appartenevano agli strati più bassi della società. Non importava se tu avessi commesso un errore o no, la società era comunque tenuta a discriminarti. E ora? Le identità politiche non esistono più e questo è già un passo avanti. Oggi in che modo si misurano le identità sociali degli individui? Si misurano in base alla logica del profitto economico, c’è una sola condizione, vale a dire se tu hai soldi o non ne hai. Basta avere dei soldi per innalzare la propria identità sociale, se non hai soldi la tua identità sociale è piuttosto bassa. In ogni caso si ha comunque la possibilità di scegliere: basta che tu sia intelligente, abbia le capacità di agire, sopporti la fatica e un giorno sicuramente un giorno avrai dei soldi.

Quindi ritiene che la sua generazione non sia affatto perduta, neppure da un punto di vista psicologico?

No, la nostra generazione non è assolutamente una generazione perduta. E’ la generazione che è nata negli anni Ottanta ad essere perduta, quelli che per l’incidente del Tibet attaccano il Carrefour. La nostra generazione si è trovata nel messo di enormi sommovimenti, è passata attraverso numerose esperienze sufficienti a far trovare alla gente il corretto modo di pensare. Ho letto molti libri, nell’educazione che abbiamo ricevuto c’è di tutto. Ora i giovani dicono che dovremmo boicottare il Carrefour e altre cose. Allora io ricordo loro una cosa: nel 1860 l’esercito anglo-francese ha dato fuoco al giardino imperiale Yuanmingyuan qui a Pechino, una cosa ben più grave della cosiddetta indipendenza del Tibet. Allora perchè non tagliare i rapporti diplomatici con l’Inghilterra e con la Francia? La storia è storia, il suo cambiamento non segue la volontà degli individui ed è questo il principio che noi a poco a poco abbiamo avuto chiaro. Quando noi eravamo giovani scendevamo in strada a manifestare fino a sera. Al tempo della guerra di Corea dovevamo attaccare i lupi selvaggi americani e l’educazione che allora ricevevamo ci diceva che in America vivevano lupi e non persone, che solo la Cina poteva salvare il mondo intero. In realtà noi non riuscivamo neppure a consumare un pasto decente, ma dovevamo comunque salvare il mondo intero. Cos’era tutto ciò? L’educazione che si riceveva a quell’epoca era davvero parziale, ma era questa la direzione in cui si muovevano le persone. Le esperienze che attraversi sono molte e allora nella tua mente si fa chiarezza. In questo modo ti raffreddi e riesci a capire che l’errore dei giovani di oggi è lo stesso che noi abbiamo commesso da giovani. Loro si limitano a commettere i nostri stessi errori. Il pregio della nostra generazione sta nell’avere sperimentato tutte le cose sperimentate dallo Stato, nell’aver visto tutte queste cose. Quei “piccoli giovani arrabbiati” (xiaofenqing) di oggi vanno a fare casino, non importa se per il Carrefour o questo o quello, ma in realtà questo cos’è? Nient’altro che una dimostrazione del fatto che loro sono molto infantili. Loro non sanno che tra il mondo occidentale ed il mondo orientale ancora oggi vi sono grandi differenze sostanziali. Ad esempio sui giornali stranieri puoi esprimere un punto di vista, si può controbattere e si può anche litigare; sui giornali cinesi non si può litigare, si può avere una voce sola. Questo come può essere uguale? E’ certamente differente. I giovani cinesi possono scegliere, possono fare delle scelte per quanto concerne l’aspetto economico, ma se il tuo punto di vista diverge da quello del potere politico dello Stato allora ti arrestano e ti definiscono “dissidente”. Però almeno possono scegliere la loro vita economica e il loro stile di vita. Quando eravamo giovani noi non potevamo neppure scegliere il nostro modo di vivere. Se ci innamoravamo e instauravamo un rapporto, venivamo immediatamente condannati: era una colpa che allora veniva definita come adulterio. E oggi chi viene imprigionato? Sicuramente non è possibile che gli studenti universitari vengano imprigionati. La Cina in questi decenni è davvero molto cambiata.

Riprendendo il filo della sua storia personale, dopo essersi laureato lei ha deciso di lasciar perdere una carriera nel campo dei suoi studi per svolgere delle indagini sociali. Può spiegarci le ragioni alla base di questa sua scelta?

La sete di conoscenza dei giovani è uguale in tutto il mondo. Quando ho iniziato a frequentare l’università, non pensavo assolutamente ad interessarmi di sociologia e ciò di cui avevo appena iniziato ad occuparmi erano le scienze e l’ingegneria. Tuttavia in seguito mi sono reso conto del fatto che per studiare queste cose ero già troppo vecchio e che non potevo già più ottenere risultati sorprendenti, quindi ho iniziato ad approfondire la società. Per studiare la società bisogna leggere molti libri e io ho letto di tutto, da Freud a Heidegger, inclusa la storia di molti paesi stranieri, tra cui l’Italia, Roma e l’Europa. Dopo aver letto così tanto, sentivo di avere un capitale alle mie spalle. Oltre a questo capitale avevo altre tre cose dalla mia parte: in primo luogo, avevo l’esperienza sociale, una cosa che non tutti hanno; in secondo luogo, avevo ottenuto attraverso lo studio le conoscenze che avrei dovuto avere; in terzo luogo avevo un mezzo per esprimermi. Mi chiedevo come esprimere le mie idee e mi dicevo che se avessi scritto articoli molto probabilmente non avrei potuto andare contro la volontà del centro, non avrei potuto scrivere come volevo e, ancora peggio, se avessi toccato argomenti sensibili i miei articoli con ogni probabilità non sarebbero mai stati pubblicati. Dunque come potevo fare? E’ stato allora che ho scelto l’arte, ho scelto di fotografare. Mi dicevo che così all’apparenza non avrei fatto alcuna analisi e i miei libri avrebbero potuto essere pubblicati, mentre se avessi fatto un’analisi esplicita i miei libri non sarebbero mai stati stampati. Quindi devi adattarti alla vita, devi adattarti alla società. Ora ci sono molti giovani che remano contro la società e alla fine finiscono in prigione. Anche se il loro modo di pensare non necessariamente è sbagliato, i loro metodi sono un po’ estremi e non si adattano molto alla Cina. Parlo di persone come Hu Jia.

Ha mai pensato che attraverso la fotografia avrebbe potuto contribuire alla risoluzione di certe problematiche sociali?

Io non posso cambiare la società. Pensa a Sima Qian, lo storico di corte dell’imperatore Wudi della dinastia Han: poteva forse egli influenzare l’imperatore? Certamente no. Come poteva questo grande storico realizzare se stesso? Egli non poteva arrivare a toccare l’imperatore, ma si limitava a registrare le cose. Io, in quanto persona comune del popolo, come potrei influenzare le politiche dello Stato? Almeno io ho conservato queste immagini della società, per far sì che i posteri possano vedere le cose così come sono sulle basi da noi poste.

Quindi le sue opere hanno essenzialmente la funzione di una testimonianza?

Non si può cambiare la società. In Cina c’è una società autoritaria, vale a dire che qui tutte le risorse sociali sono controllate dallo Stato. In questo modo la forza di un individuo è piena di vincoli, ma questo non significa che il singolo sia inutile. L’utilità sta nel fatto di approfittare delle cose che possono essere fatte per registrare quella che è la società, per lasciare alla società alcuni materiali. Lo scopo di tutti i miei libri è quello di lasciare qualche materiale alla società, dando così ai posteri almeno la possibilità di capire come vivevamo noi, gli uomini di quest’epoca. Già questo non è per niente semplice. La Cina ora sta attraversando un periodo di transizione sociale, se tu remi contro i superiori vieni messo in prigione ancora prima di cominciare. Questi giovani non hanno attraversato la Rivoluzione Culturale, non sanno che nella Rivoluzione Culturale quelli che l’avevano seguita con maggior prontezza e maggior fedeltà alla fine sono finiti tutti in prigione: quando Nie Yuanzi, professoressa di filosofia dell’Università di Pechino, aveva scritto il primo dazibao, Mao Zedong era molto contento, ma alla fine lei è stata condannata. Quindi in Cina i comuni cittadini devono fare attenzione ad addentrarsi nel caos della politica: non è che non ci sia niente da fare, si tratta solo di adattarsi alle circostanze.

Una delle principali tematiche sociali di cui lei si è occupato è quella della prostituzione: qual è stato il percorso personale che lo ha portato ad affrontare questo argomento?

E’ piuttosto difficile da spiegare. Devi sapere che quando eravamo giovani i maschi e le femmine a scuola non si parlavano, ed era semplicemente impensabile che tu andassi con una ragazza, perchè questo sarebbe stato definito un atteggiamento non integro. Per queste ragioni, quando eravamo giovani ci siamo trovati a vivere in una società fondamentalmente chiusa, nella quale non era possibile neppure immaginare che ci piacesse una ragazza, perchè questo sarebbe stato un errore definito come “mentalità borghese”. Dopo l’avvio delle politiche di riforma ed apertura alla fine degli anni Settanta, sono andato nel sud della Cina e mi sono guardato intorno: com’era possibile che ci fossero così tante belle ragazze? Non avevo mai visto così tante ragazze, tutte molto giovani e molto belle, e quindi ero molto interessato. Prima nella mia mente non c’erano mai state donne, ma una volta entrato in quell’ambiente ho cominciato a pensare che si trattasse di un fenomeno che valeva la pena approfondire. Voglio dire, se in quel periodo mi fossi trovato in Italia, sicuramente non avrei approfondito questo problema, perchè lì dappertutto c’erano donne ed era anche possibile nuotare insieme. Nella Cina di una volta, i ragazzi e le ragazze non potevano neppure trovarsi nella stessa piscina. Come potevi entrare in contatto con una ragazza? Se tu prendevi la mano di una compagna, il giorno dopo venivi criticato dal professore, quindi non si può proprio immaginare com’era la nostra epoca. Come ha detto di me un mio amico dell’Accademia di Scienze sociali io sono “una vecchia casa che una volta che ha preso fuoco è difficile salvare”. Prima dell’apertura del paese non avevo mai visto queste cose. All’epoca non c’erano film stranieri ma solo film sovietici come “Proteggere Stalingrado” o “Lenin nel 1918”. Tutte le opere di allora erano lavori politici di estrema sinistra e in quelle circostanze non avevamo modo di venire a conoscenza dell’ambiente in cui le persone si sarebbero trovate a dover sopravvivere, era una cosa semplicemente impossibile. Non si può davvero immaginare come eravamo allora. Dal momento che mi piaceva la letteratura, spesso sono stato criticato dalla scuola. Quando frequentavo la scuola media sono stato criticato perchè avevo scritto un saggio intitolato “Acqua che scorre lentamente”: per loro era troppo lirico, un esempio di mentalità borghese. Dopo che in seguito alle politiche di riforma ed apertura le grandi porte un tempo proibite si sono spalancate, volevo andare ovunque a dare un’occhiata. Quando ho visto le ragazze cinesi che si servivano di simili metodi per risolvere la questione della propria sopravvivevenza, ho pensato di registrare questa cosa. Si tratta di un passo molto importante che prima o poi si rivelerà molto utile.

Concretamente quando ha cominciato le sue ricerche sull’argomento?

Nel 1990 sono andato sull’isola di Hainan nel sud della Cina per aprire un’azienda, ma l’affare non è andato bene e l’azienda è fallita. Io ho ricevuto un’educazione piuttosto forte nel pensiero tradizionale cinese, vale a dire che un uomo deve avere successo nei suoi affari. Ma in quali affari? E’ stato allora che ho cominciato ad occuparmi di questo, ed ho iniziato il lavoro sul quale oggi si basa la mia posizione sociale in Cina. Com’è cominciato il tutto? Quando si inizia ad occuparsi di commercio, bisogna intrattenere spesso dei rapporti con le banche e coltivare delle relazioni sociali, invitando delle persone in sale da ballo dove ci sono delle ragazze che ballano con loro. Allora ho chiesto a queste ragazze: come mai ballate con queste persone? Prendete dei soldi? Una mi ha risposto che prendeva 100 yuan. E dopo? Altri 200 yuan. Mi è sembrato strano e le ho chiesto della situazione della sua famiglia. Lei mi ha risposto che non si era ancora sposata e che la sua famiglia si trovava in una situazione difficile. Mi è sembrato davvero strano: com’era possibile che ci fossero ancora situazioni di questo tipo? Nel 1994 la mia azienda è fallita e allora quelle ragazze hanno iniziato a raccontarmi la verità: “noi tutte vi stiamo ingannando, siamo tutte sposate”. Poi sono venuto a sapere che avevano anche dei figli e che facevano questo mestiere per guadagnare dei soldi per mantenere le loro famiglie. Io ho detto loro: così non va bene, non dovete continuare ad ingannarmi e sono riuscito ad andare con loro nelle loro case nei villaggi di campagna. Sono passato di casa in casa e alla fine ho dimostrato che si trattava di un problema sociale molto grande. Il mio metodo di lavoro è stato quello che si definisce “ricerca sul campo”. Devi vivere insieme a queste ragazze, se vuoi cercare di capirle: c’era una casa ad un piano della quale vivevano dieci di queste ragazze e così ho affittato una stanza proprio lì e mi sono trovato a vivere a contatto con loro dalla mattina alla sera. Come andava con i loro fidanzati? Qual era la situazione delle loro famiglie? In questo modo dopo molto tempo sono riuscito a capire com’era la loro situazione. Solamente vivendo insieme a loro, vivendo completamente insieme a loro, questo materiale poteva risultare veritiero.

Lei ha passato molti anni a contatto con queste ragazze e in questo periodo sicuramente è venuto a conoscenza di un’infinità di storie ed ha assistito a molti drammi. Quali di queste storie l’hanno maggiormente coinvolta a livello emotivo?

Uno dei capitoli del mio ultimo libro [Tamen, NdC] si intitola “Una ragazza dalla tragica sorte vuole ritirarsi dal mondo: la storia di Xiao Li”. Sono stato per molto tempo in contatto con questa ragazza. Suo marito era morto nel 1992 a Chongqing: due banditi lo avevano avvicinato e con un coltello in pugno gli avevano intimato di consegnare i soldi e la vettura che utilizzava per il trasporto delle merci. Di fronte ad un rifiuto non hanno esitato ad ucciderlo. Dopo la morte del marito, questa donna e sua figlia non sapevano più in che modo tirare avanti e presto sono arrivati sull’isola di Hainan. Xiao Li non aveva cultura e si chiedeva come avrebbe fatto a vivere: è stato allora che ha iniziato a lavorare in uno di quei bordelli mascherati da barbiere. Successivamente ha vissuto un’altra esperienza tragica: un uomo sposato che si era innamorato di lei le aveva comprato un appartamento a Pechino, ma non molto tempo dopo era morto in un incidente stradale. Da quel momento Xiao Li si è convinta di essere perseguitata dalla malasorte. Ho passato molto tempo con questa ragazza e sono stato molte volte a casa sua in campagna. Lei crede molto nel buddhismo ed è convinta che la ragione per cui la sua vita è così sfortunata sia da trovare nel fatto che nella precedente esistenza non si è comportata bene e quindi ora viene punita.
In un altro capitolo del mio ultimo libro si parla di una ragazza che ha vissuto sempre con me, una tipica ragazza di campagna della provincia del Sichuan. Xiao Liu è nata sulle montagne, il suo fidanzato voleva sposarla ma non aveva soldi e non poteva farlo. La famiglia di lei disprezzava questo ragazzo e dopo che lui se ne è andato ad Hainan per lavorare lei lo ha presto seguito. Il risultato è stato che una volta sull’isola, Xiao Liu è stata scoperta da un uomo d’affari, il quale voleva che lei diventasse la sua governante. Alla fine i due sono andati a letto insieme, ma questo fatto in un certo qual modo ha cambiato il modo di pensare della ragazza, che ha deciso di lasciare il fidanzato. Non molto tempo dopo la moglie dell’uomo d’affari ha scoperto la loro storia e ha cacciato Xiao Liu di casa: da quel momento lei ha iniziato a lavorare in una sala da ballo. Dal momento che ho vissuto molto a lungo con questa ragazza, la descrizione che faccio della sua situazione è molto chiara. Oggi lei ha abbandonato questo settore, si è sposata, ha avuto una bambina ed ha aperto un ristorante. Le ragazze che svolgono questo lavoro alla fine spesso riescono ad ottenere un certo rimborso dalla società.
C’è poi un’altra ragazza, che si chiama AV. Lei era molto giovane, aveva appena 16 anni ed era una studentessa di scuola superiore. Dopo il divorzio dei genitori lei si è trovata a vivere con il padre, un tassista che era riuscito a fare qualche soldo. Il motivo del divorzio dei genitori stava nel fatto il padre si era portato a casa un’altra donna e la madre, incapace di convivere la situazione, lo aveva abbandonato. Alla ragazza piaceva molto pattinare e un ragazzo si è offerto di insegnarle la tecnica. Con il tempo tra loro si è sviluppato un rapporto morboso e alla fine hanno deciso di scappare insieme. Questo ragazzo malvagio ha portato AV in un villaggio che si chiama Miaocun ad Hainan e le ha detto: “Non abbiamo soldi, come possiamo fare?”. E’ stato allora che la ha spinta a diventare una prostituta, per un prezzo di 30 yuan al cliente. Questa vita era davvero tragica: ogni giorno doveva accompagnare molti clienti e per di più tutti i soldi le venivano portati via dal ragazzo che giocava d’azzardo. Erano tre le grandi difficoltà che questa ragazzina si trovava ad affrontare: in primo luogo la malavita locale, della quale necessitava della protezione; in secondo luogo i piccoli quadri che volevano approfittare sessualmente di lei; in terzo luogo i clienti ordinari che in una giornata erano al massimo tredici. Questa bambina è rimasta spesso incinta ed ha dovuto abortire più volte, spesso in condizioni terribili. Era come una bambina, una ragazza pura e semplice che amava moltissimo gli animali, ma non poteva tenere un cucciolo per più di qualche giorno, altrimenti il suo ragazzo l’avrebbe ucciso. Alla fine lei ha lasciato il suo ragazzo per un altro uomo che non era molto meglio di lui, un assassino, e poi non ne ho più saputo nulla.

Lei ha iniziato ad osservare il fenomeno della prostituzione in Cina all’inizio degli anni Novanta: a quali conclusioni è arrivato riguardo agli sviluppi e alle prospettive del fenomeno nel paese?

In Cina questo settore è ormai diffuso ovunque, si può trovare in ogni città, inclusa Pechino. Quando ho scritto i miei libri erano i primi anni Novanta, le persone di allora erano ancora piuttosto tradizionaliste e quindi era ancora possibile parlare con loro. Oggi questo fenomeno esiste ancora ad Hainan, così come esiste a Pechino e in ogni altra città del paese, senza eccezioni. Esso è stato regolarizzato e le persone che fanno questo lavoro gradualmente hanno smesso di provare vergogna, a differenza di quanto avveniva allora. Oggi non c’è più questa sensazione, si pensa che si tratti solamente di guadagnare qualche soldo, tutto qui. Se vai in un albergo di Pechino, nella hall siedono sempre molte ragazze: per loro questa è una professione. Ci si è in qualche modo avvicinati all’occidente, ma all’inizio non era così, quando le persone avevano ancora una morale e un senso della decenza. Ora tutto ciò non c’è più. Oggi i video e i cd erotici sono ovunque, sono diventati un affare alla luce del sole, non sono più un problema, non come all’inizio degli anni Novanta, quando eravamo appena usciti dalla società tradizionale ed eravamo ancora nuovi alla cosa. Se dovessi mettermi a registrare una cosa simile oggi, non lo farei mai, ma ora è dappertutto.

Dopo tutto questo tempo le ragazze in questione portano ancora i segni del loro passato oppure ora sono in grado di condurre una vita più o meno normale?

Dall’antichità ad oggi in Cina c’è un modo di pensare che non è mai cambiato: non importa che cosa fai, l’unica cosa importante è se tu hai soldi o meno. Si ride dei poveri ma non delle prostitute. Se tu sei povero, tutti si prendono gioco di te, ma basta che tu abbia dei soldi e puoi fare qualsiasi cosa senza che nessuno dica nulla. Quando sono andato ad Hainan l’ultima volta alcune ragazze avevano già due automobili, tre ville, un sacco di soldi e ritenevano di non avere assolutamente nulla di cui vergognarsi. I cinesi guardano ai risultati e non ai mezzi, a differenza degli stranieri. Il fatto che tu abbia guadagnato dei soldi è sostanza, se tu non guadagni dei soldi puoi parlare quanto vuoi ed è inutile. I cinesi sono un popolo che si dà da fare per raggiungere i propri obiettivi. Se nella loro famiglia c’è una sola ragazza che fa questo mestiere, i genitori assolutamente non si vergognano. Se guadagni dei soldi per la famiglia, se fai costruire una casa per loro, come possono parlare male di te? Sei una ragazza e allora presto o tardi sarai una persona di un’altra famiglia. Non importa con chi vai, non gli interessa.

Oggi quello della prostituzione può considerarsi un capitolo chiuso nel suo percorso personale ed artistico?

Questo argomento non può concludersi, l’argomento delle donne non potrà mai essere esaurito. Non sto dicendo che lo ho approfondito ad un punto tale che esso non ha più nulla da dirmi, sto solo dicendo che ora ho lavori più urgenti da fare, ad esempio quello riguardo al cambiamento delle zone meridionali della città di Pechino. Questo lavoro attualmente è più urgente e quindi per ora mi dedico ad esso. Poi c’è la possibilità che un giorno vi sia l’occasione di tornare su quell’argomento per un ulteriore approfondimento, ad esempio per conoscere la visione femminile del sesso, ma non è possibile ripetere il tutto rimanendo sempre sullo stesso piano. Ci sono sempre cose più pressanti. Attualmente c’è uno strato sociale, l’ultimo strato sociale di base nella società cinese, che sta per sparire, mentre gli abitanti di Pechino stanno gradualmente trasformandosi in cittadini. Recentemente ci sono stati alcuni incidenti che che dimostrano il risveglio della coscienza civica del popolo cinese, vale a dire che essi non sono già più uno strato sociale di base. In queste circostanze non dobbiamo trarre delle conclusioni su questo fenomeno sociale che sta per scomparire, e queste conclusioni sono molto importanti.

Un’ultima domanda. Chi sono i suoi lettori di riferimento?

Quando scrivo tutti i miei libri, chi è il lettore che ho in mente? Non sono le persone comuni, ma gli intellettuali della società e gli stranieri, ai quali voglio presentare il fatto che in Cina c’è una persona che si chiama Zhao Tielin che ha fatto una cosa che nel paese nessun altro ha fatto. Nel paese nessuno ha fatto quello che io ho fatto, nemmeno l’Accademia delle Scienze Sociali che mi ha invitato da loro a fare lezione per presentare il mio metodo di ricerca sul campo. Mi hanno onorato molto, ma nessuno di loro farebbe una cosa di questo tipo. Perchè? Perchè loro lavorano per lo Stato e prestano attenzione solo alle cose verso cui lo Stato prova interesse, non verso le cose per cui il popolo prova interesse.



(Una versione estesa di questa intervista, accompagnata da una mia premessa sul problema della prostituzione in Cina è disponibile cliccando qui)

sabato 23 maggio 2009

Due anni dopo, la stessa storia

Ieri l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua ha battuto la notizia che nella città di Jieshou nella provincia centrale dello Anhui, una delle aree più povere del paese, la polizia ha recentemente condotto un’operazione per salvare trentadue lavoratori con problemi mentali tenuti in schiavitù in due fornaci di mattoni clandestine. In base ai resoconti pubblicati sulla stampa locale, questi lavoratori disabili venivano condotti nelle fornaci con l’inganno da trafficanti di esseri umani (in questo caso si parla di “un tassista”), che per ogni persona “presentata” guadagnavano dai duecento ai trecento yuan, l’equivalente di poco più di venti-trenta euro. Sorvegliati a vista da guardiani che non esitavano a ricorrere alla violenza, questi schiavi di età compresa tra i 25 e i 45 anni vivevano rinchiusi in un cortile, costretti a lavorare oltre dieci ore al giorno senza percepire alcun salario che non fosse quella decina di yuan che di tanto in tanto veniva loro concessa per le spese personali. In seguito a questa indagine sono state arrestate dieci persone, tra cui il baogongtou (l’intermediario che procura e gestisce la forza lavoro) e i padroni delle due fornaci. Anche se l’operazione di soccorso ha avuto luogo lo scorso 28 aprile, sembra che ad oggi solamente una parte degli schiavi liberati abbia già fatto ritorno alla propria famiglia: stando ai dati forniti dalla polizia, appena quindici vittime sarebbero state riportate alle stazioni di soccorso dei propri paesi d’origine, mentre altre diciassette sarebbero ancora in attesa del riconoscimento da parte dei propri famigliari. Di fatto, gran parte di queste persone non sono in grado di parlare coerentemente o non sanno il nome del proprio paese natale.

E’ curioso osservare come la storia si ripeta. Esattamente due anni fa, il 27 maggio del 2007, un’analoga operazione di polizia aveva avuto luogo nella provincia settentrionale dello Shanxi. Allora gli agenti del comune di Guangshengsi stavano conducendo un’indagine sugli esplosivi per uso civile nell’area sottoposta alla propria amministrazione e per caso in una fornace di mattoni nel villaggio di Caoshengcun si erano imbattuti in trentuno lavoratori (parte dei quali disabili) costretti a lavorare come schiavi. Costoro avevano raccontato ai poliziotti storie terribili su come erano stati trascinati nella fornace con l’inganno e sulle condizioni disumane in cui erano stati costretti a lavorare, ma soprattutto avevano denunciato la morte di un loro compagno disabile, picchiato dai sorveglianti con una vanga e poi sepolto mentre ancora respirava. All’epoca questa storia, pubblicata prima sulla stampa locale e poi ripresa da internet e dai media nazionali, ha scatenato una sollevazione da parte dell’opinione pubblica cinese con ben pochi precedenti in Cina. Allora il governo centrale è intervenuto con decisione, lanciando un’indagine su vasta scala finalizzata a porre fine una volta per tutte ai traffici di esseri umani che conducevano alle fornaci. In base a quanto dichiarato agli inizi di agosto del 2007 nel corso di una conferenza stampa ufficiale, nell’arco di poco più di un mese dalle fornaci erano stati salvati 359 lavoratori migranti, 121 dei quali avevano problemi mentali.

Due anni dopo questa tempesta mediatica, il problema delle fornaci clandestine (così come quello delle miniere clandestine e di tutti quegli altri impianti in nero sparsi nelle campagne cinesi) è ben lungi dall’essere risolto. Anche se i funzionari, i media e l’opinione pubblica hanno smesso da tempo di occuparsene, sono ancora decine, se non centinaia, i genitori sulla strada alla ricerca dei figli adolescenti scomparsi. L’anno scorso ho avuto la “fortuna” di essere in compagnia di uno di questi padri proprio nel giorno in cui è arrivata la notizia che un ragazzo disabile era stato salvato da una fornace e ricordo bene la speranza riaccendersi negli occhi di quest’uomo disperato che da oltre un anno viaggiava su e giù per il paese alla ricerca del figlio. Di fatto, se il lettore comune non può non provare orrore di fronte alle storie delle fornaci che di tanto in tanto appaiono sui giornali, questi genitori si appigliano ad esse per trovare un barlume di speranza. Purtroppo, se è vero che la storia ama ripetersi, essa non è mai uguale a se stessa: quello che due anni fa avrebbe causato una sollevazione popolare, oggi non ottiene più di un trafiletto su una pagina interna di qualche giornale locale.

martedì 19 maggio 2009

Vent'anni fa su quella piazza i lavoratori...


Sono passati esattamente vent’anni da quel giorno del 1989 in cui il primo ministro Li Peng, un falco all’interno della burocrazia del Partito, riuscì ad imporre la legge marziale, ponendo fine a settimane di esitazioni e di segnali contraddittori da parte della leadership cinese. Fu allora, il 19 maggio del 1989, che si cominciò a presagire la piega che avrebbero preso gli eventi, poi culminati in quello che è passato alla storia come il ”massacro del quattro giugno”.

Contrariamente a quanto si pensa comunemente, vent’anni fa su quella piazza non c’erano solamente studenti ed intellettuali, ma anche un gran numero di lavoratori, membri di quell’”aristocrazia operaia” delle industrie di Stato che da decenni costituiva la base stessa del potere del Partito. Ad un certo punto, in particolare nella seconda metà di maggio, la componente operaia del movimento sembrò addirittura prendere il sopravvento su quella studentesca, mentre imponenti manifestazioni prendevano luogo nella capitale a sostegno degli studenti impegnati nello sciopero della fame.

I lavoratori scesero in piazza per ragioni differenti da quelle degli studenti e non riuscirono mai a guadagnarsi la piena accettazione di questi ultimi, giovani preoccupati in parte per una presunta “purezza” del loro movimento, in parte per l’enorme rischio politico che un’alleanza con i lavoratori avrebbe comportato di fronte ad un Partito angosciato dallo spettro di una nuova rivoluzione. I lavoratori piantarono le loro tende fuori dai confini della piazza, separati fisicamente e simbolicamente dal centro del potere e della propaganda degli studenti. Crearono la loro stazione radio, distribuirono volantini, si offrirono di lanciare scioperi e manifestarono in ogni modo il proprio supporto agli studenti. Una volta che tutto fu finito, furono loro a pagare le conseguenze più dure della repressione.

Anche il sindacato ufficiale cinese, la Federazione Nazionale dei Sindacati Cinesi, un colosso dai piedi d’argilla che oggi conta oltre duecento milioni d’iscritti, all’epoca decise di prendere posizione a favore del movimento per la democrazia. C’è chi sostiene addirittura che la decisione di proclamare della legge marziale sia nata dal fatto che la dirigenza della Federazione era sul punto di lanciare uno sciopero generale per il 20 maggio, un evento senza precedenti nella Cina comunista. In ogni caso, la storia dimostra come in ogni periodo di crisi economica o politica il sindacato ufficiale cinese cerchi di alzare la voce e di allontanarsi dal Partito, rivendicando quel ruolo di rappresentante della classe operaia che in tempi ordinari gli viene negato.

Per unirmi al coro delle voci che in questi giorni stanno pubblicando commenti e testimonianze per commemorare i fatti di allora, qui di seguito riporto uno stralcio di un mio studio inedito sulla storia dei rapporti tra Partito e sindacato nella Repubblica Popolare Cinese. Per ricordare che vent’anni fa su quella piazza non c’erano solo gli studenti.

Nonostante tutti i dati disponibili dimostrino come il livello di vita della classe operaia alla fine degli anni Ottanta fosse nettamente cresciuto rispetto al 1978, con i salari reali praticamente raddoppiati e un forte aumento nei consumi, il morale dei lavoratori cinesi rimaneva molto basso, così come la loro fiducia nelle riforme. Jackie Sheehan, autrice di un celebrato volume sulla storia del movimento dei lavoratori nella Cina Popolare, ha individuato quattro ragioni fondamentali per questa insoddisfazione: in primo luogo, la rottura della ciotola di riso di ferro, il modello occupazionale a vita che in quella particolare fase storica veniva iniziato ad essere bollato come una “deviazione del socialismo”; in secondo luogo, l’enfasi sul management scientifico e sull’autorità del direttore di fabbrica, sulla scia del modello delle Zone Economiche Speciali recentemente stabilite; in terzo luogo, un diffuso senso di insicurezza, sorto in seguito allo smantellamento del sistema del welfare e alla crescente consapevolezza tra i lavoratori del fatto che la crescita dei prezzi dovuta alle nuove politiche economiche non sarebbe stata accompagnata da una crescita dei salari; infine, la corruzione del management e l’aumento del divario tra il trattamento del personale manageriale e quello dei comuni lavoratori.

A partire dal 1986 un’inflazione galoppante (la media tra il 1985 ed i 1988 fu del 12,1%, con un picco del 20,7% nel 1988), iniziò ad erodere i salari reali, diventando una causa di notevole malcontento nei confronti della classe politica, in base ad una teoria popolare, che ebbe notevole presa sui lavoratori, in cui l’inflazione veniva correlata alla corruzione. I lavoratori cinesi sempre più spesso si trovavano a confrontare la situazione descritta nei documenti ufficiali, ove essi erano tuttora definiti i padroni dell’impresa e dello Stato, con una realtà nella quale erano sottoposti ad un pesante sfruttamento. Peggio ancora, il fatto che la manna promessa dalle riforme tardasse ad arrivare causava un forte senso di delusione tra i cittadini, a dispetto del fatto che le condizioni di vita materiali fossero oggettivamente migliorate.

Il pretesto per l’avvio del movimento democratico della primavera del 1989 fu la morte improvvisa dell’ex segretario generale del Partito Hu Yaobang, il quale nel gennaio del 1987 era stato sollevato dal suo incarico per aver esercitato una leadership troppo permissiva nei confronti dei disordini studenteschi scoppiati nel paese alla fine del 1986. Nonostante Hu fosse stato estromesso dal potere, egli era rimasto nel cuore del popolo come un simbolo di democrazia e progresso, tanto che all’indomani della morte gruppi di persone, soprattutto studenti, iniziarono a raccogliersi in piazza Tiananmen per esprimere il proprio dolore e la propria preoccupazione per il futuro della nazione, esattamente come era successo tredici anni prima, in occasione della scomparsa dell’amato primo ministro Zhou Enlai.

Tra la moltitudine di gente che in quei primi giorni si incontrava sulla piazza per discutere di politica, non vi erano solamente studenti, ma anche comuni cittadini e diversi lavoratori. In base a testimonianze dell’epoca, risulta che ogni sera vi fosse un gruppo di almeno una decina di lavoratori che si riuniva ai piedi del monumento agli eroi della rivoluzione per discutere della situazione e decidere cosa fare. A partire dal 18 aprile, dopo che gli studenti avevano iniziato a marciare per le strade, i lavoratori cominciarono a discutere sull’opportunità di stabilire di una propria organizzazione e decisero di verificare la disponibilità dei colleghi nell’ambito dei rispettivi posti di lavoro. Anche se già a partire dal 20 aprile vi sono documenti firmati, pur con denominazioni differenti, da quella che poi sarebbe diventata famosa in tutto il mondo come Federazione Autonoma dei Lavoratori di Pechino (gongzilian), questa nuova organizzazione sindacale indipendente si limità a giocare un ruolo secondario nelle prime fasi del movimento per la democrazia, almeno fino al momento in cui il Partito non scelse apertamente l’opzione militare.

Vi sono differenti versioni riguardo alla nascita ufficiale del sindacato autonomo di Pechino: mentre Walder e Gong, autori di uno studio pubblicato nei primi anni Novanta, la fanno risalire al 13 maggio, quando gli studenti che stavano conducendo lo sciopero della fame marciarono sulla piazza e la occuparono in maniera permanente, Han Dongfang, portavoce e leader della Federazione autonoma, ora più noto come fondatore del China Labour Bulletin di Hong Kong, la riconduce alla sera del 19 maggio, successivamente alla dichiarazione della legge marziale da parte dell’allora primo ministro Li Peng. In ogni caso, individuare la data precisa della creazione della struttura formale della Federazione Autonoma dei Lavoratori di Pechino ha un’importanza del tutto relativa, mentre è interessante capire quale fosse il ruolo dei lavoratori all’interno del panorama generale del movimento per la democrazia, quali fossero i loro obiettivi, quale il loro rapporto con la componente studentesca.

Sin dall’inizio i lavoratori si scontrarono con l’ostilità degli studenti. Quando i leader della Federazione Autonoma decisero di creare un proprio quartier generale sulla piazza, essi furono costretti dagli studenti, che volevano mantenere la “purezza” del proprio movimento, ad erigere le proprie tende al di fuori del perimetro della piazza, a nord-ovest lungo il viale Chang’an, un luogo estremamente pericoloso considerata la massiccia presenza di poliziotti in borghese. Nei giorni successivi, in almeno due occasioni (il 20 e il 28 maggio) la leadership studentesca si oppose decisamente alla proposta di uno sciopero generale avanzata dai lavoratori, reclamando un presunto “diritto di proprietà” sul movimento per la democrazia, salvo poi arrivare il 3 giugno, in vista dell’imminente azione militare, a supplicare i lavoratori di scioperare.

Studenti e lavoratori avevano differenti aspettative nei confronti del movimento per la democrazia: mentre i primi si concentravano sulla lotta per il potere all’interno del PCC e concentravano i propri sforzi sul rafforzamento dell’ala moderata e riformista del Partito, i secondi mostravano un disgusto generale per la politica ed un’estrema riluttanza ad essere coinvolti in giochi di potere, concentrandosi piuttosto su richieste di natura economica o materiale, quali la stabilizzazione dei prezzi, la lotta all’inflazione e alla corruzione, l’abolizione del pagamento del salario in buoni del tesoro, la libertà di cambiare lavoro, la fine della discriminazione verso le donne, etc.

Dopo la proclamazione della legge marziale, mentre il numero di studenti presenti sulla piazza continuava a calare, quello dei lavoratori continuava a crescere a vista d’occhio. Eppure, nonostante ciò non vi sono certezze riguardo al numero dei membri e affiliati della Federazione Autonoma: da un lato vi sono stime esagerate, come quelle fornite dall’International Confederation of Free Trade Unions (ICFTU) nella sua successiva denuncia alla Commissione per la libertà di associazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), che volevano che le Federazione avesse ramificazioni in 40 settori industriali e rappresentasse centomila lavoratori a Pechino, dall’altro quelle fornite da Walder e Gong che stimano in 150 il numero di attivisti impegnati continuativamente nella piazza all’apice dell’attività e in 20.000 il numero di membri registrati il 3 giugno.

In evidente contrasto con quanto emerge da queste cifre, molti anni dopo, Han Dongfang avrebbe rilasciato un’intervista alla New Left Review americana in cui, richiamando i dubbi che aveva avuto all’epoca della sua latitanza subito dopo il 4 giugno, avrebbe candidamente affermato: “[Dopo il 4 giugno] presi la bicicletta e andai fuori Pechino, nella provincia dello Hebei. Il mio piano – come ogni altra cosa che feci era infantile, considerando che allora avevo 25 anni – era di scomparire per un anno o due, viaggiando verso sud in bicicletta, parlando con i contadini ed i lavoratori ovunque fossi andato. […] Avrei studiato cosa stava succedendo nella società, sarei arrivato a conoscere la vita delle persone nelle fabbriche e nei villaggi, e così sarei stato meglio equipaggiato per presentare una sfida reale al Partito Comunista. Perché mi sentivo in imbarazzo ad essere il portavoce di un’organizzazione dei lavoratori che i lavoratori stessi non riconoscevano. Era un incubo per me quando i giornalisti mi chiedevano nella Piazza, ‘Quanti affiliati avete? Quanti membri avete?’. Sapevo che quando ci avvicinavamo ai lavoratori nelle manifestazioni di massa, essi negavano che noi fossimo una qualsiasi organizzazione in grado di rappresentarli. Nessuno ci aveva seguito, nessuno ci aveva supportato”.

Anche se non è semplice dire quale fosse il grado di supporto sul quale i sindacati autonomi sorti nella primavera del 1989 potevano contare tra i lavoratori cinesi, è evidente il fatto che la massiccia presenza di lavoratori tra i manifestanti non poteva non preoccupare la Federazione Nazionale dei Sindacati Cinesi (FNSC), allora come oggi l’unico sindacato ufficialmente riconosciuto nella Repubblica Popolare Cinese. I lavoratori, come si è visto, pur mantenendo una profilo più basso e una posizione più defilata avevano iniziato a mobilitarsi sin dalla metà del mese di aprile, esattamente come gli studenti. Quando il 26 aprile il Quotidiano del Popolo redasse un duro editoriale intitolato “È necessario opporsi chiaramente in maniera esemplare ai disordini”, nel quale il movimento degli studenti veniva equiparato ad un complotto mirato ad abbattere il governo del PCC e l’intero sistema socialista, i lavoratori dimostrarono per la prima volta il loro esplicito appoggio agli studenti e il 27 aprile applaudirono insieme ai comuni cittadini una loro grande manifestazione sul viale Chang’an di fronte a Tiananmen.

Fu solamente verso la metà di maggio che tuttavia le cose cominciarono ad andare fuori controllo. All’inizio di maggio il comitato di Partito della Municipalità di Pechino emise una direttiva in cui si intimava ai manager di tutte le fabbriche di fare il possibile per tagliare ogni eventuale contatto tra i lavoratori e gli studenti, mentre il 13 maggio il segretario generale Zhao Ziyang e il primo ministro Li Peng incontrarono in due differenti occasioni i rappresentanti dei lavoratori nel tentativo di pacificarli. Essi non ebbero troppo successo a giudicare dal fatto che appena una settimana dopo il China Daily pubblicava in prima pagina un articolo in cui venivano descritti i danni provocati alla produzione dalla massiccia defezione dei lavoratori nella capitale. Quando il 17 e 18 maggio si tennero due oceaniche manifestazioni in supporto agli studenti impegnati nello sciopero della fame, i lavoratori costituivano ormai la maggioranza della folla, insieme a giornalisti, studenti di scuola superiore, impiegati negli uffici governativi, impiegati in banca, così come ufficiali della Esercito di Liberazione Popolare.

Fu proprio allora che la FNSC iniziò a giocare un ruolo attivo in supporto ai manifestanti. Il 14 maggio una delegazione del sindacato marciò in piazza a sostegno degli studenti, mentre il 16 maggio 400 studenti dell’Istituto sul Movimento dei Lavoratori (un’istituzione affiliata alla FNSC) marciarono fino alla sede del sindacato e consegnarono al primo segretario e vice-presidente del comitato permanente della FNSC Zhu Houze una petizione firmata da 505 persone, in cui si chiedeva al sindacato “come rappresentante dei lavoratori e degli impiegati” di richiedere all’Assemblea Nazionale Popolare, al Consiglio degli Affari di Stato e al Comitato Centrale del PCC il riconoscimento della natura patriottica del movimento degli studenti, la tutela della libertà di stampa, pubblicazione ed associazione, la lotta contro la corruzione, l’adozione di una legislazione sul sindacato e il riconoscimento del fatto che il sindacato doveva parlare ed agire a nome dei lavoratori.

Il 17 maggio parte dello staff della FNSC e molti studenti dello stesso Istituto presero parte alle dimostrazioni, mentre una decina di migliaia di lavoratori della fabbrica di cavi elettrici di Pechino presentò alla FNSC una petizione in cui si richiedeva che il sindacato ufficiale si rivolgesse al governo ed al Partito a nome della classe operaia dell’intero paese per richiedere l’apertura di un vero dialogo con gli studenti e la garanzia che non si sarebbe cercato di regolare i conti con questi ultimi a posteriori, due proposte accolte con favore dal vice-presidente del sindacato Wang Houde. Il 18 maggio la FNSC fece una donazione di 100.000 yuan alla croce rossa di Pechino per aiutare gli studenti impegnati nello sciopero della fame, un gesto che fu molto applaudito dai manifestanti. Lo stesso giorno i vertici del sindacato diffusero una dichiarazione in cui venivano avanzate tre richieste fondamentali per il governo, vale a dire l’inizio di un dialogo reale con gli studenti, l’apertura anticipata di una nuova sessione del Comitato permanente dell’Assemblea Nazionale Popolare e l’avvio di un dialogo diretto con i lavoratori sotto l’egida della FNSC, mentre si esprimeva solidarietà e preoccupazione per la salute degli studenti impegnati nello sciopero della fame e si difendeva la consapevolezza dei lavoratori riguardo alla inevitabilità della stabilità sociale ai fini del successo delle riforme. Infine, ma questa è una notizia tutt’altro che sicura, in quanto riportata solamente dallo specialista Wang Shaoguang, il quale la attribuisce ad “una fonte molto attendibile”, sembra che la FNSC avesse deciso di proclamare uno sciopero generale per il 20 maggio. Sarebbe stata proprio questa la molla che avrebbe spinto Li Peng a proclamare la legge marziale la notte del 19 maggio dopo settimane di esitazioni.

Dopo la proclamazione della legge marziale, la situazione si fece più tesa e gli appelli per mantenere l’ordine pubblico più pressanti. Il 2 giugno il presidente del sindacato Ni Zhifu tenne un discorso ad una conferenza dei presidenti dei sindacati di settore in cui sosteneva la necessità di ripristinare l’ordine, ribadiva l’importanza della guida del Partito Comunista sul sindacato ed attaccava duramente i sindacati autonomi. Il 12 giugno, ben dopo che la repressione aveva avuto inizio, il sindacato diffuse una lettera destinata ai lavoratori ed ai quadri sindacali di tutta la nazione, ampiamente riportata sulla stampa, in cui venivano enfatizzati quattro punti: “rispondere con decisione all’annuncio del Comitato Centrale sull’opporsi con convinzione ai disordini”, “portare alla luce e combattere con decisione i complotti in cui pochissime persone scatenano degli scioperi”, “lottare con decisione contro le organizzazioni illegali come i cosiddetti ‘sindacati autonomi’”, “eliminare i vari disturbi, rimanere sul posto di lavoro, mantenere la produzione e garantire l’offerta”.

Allo stato attuale della ricerca, questo è tutto ciò che si sa sul ruolo giocato dal sindacato nella Primavera del 1989. A causa della cortina di silenzio calata sull’incidente Tiananmen negli anni Novanta, ad oggi non si ha assolutamente idea di quale possa essere stato il livello di supporto fornito dalla nomenclatura della FSC al movimento. Una testimonianza individuale, con un valore limitato dal punto di vista della ricerca storica ma un grande significato umano, è quella di un quadro della FSC fuggito all’estero dopo il 4 giugno, riportata in un volume stampato a Hong Kong negli anni Novanta: egli raccontava come più della metà degli impiegati nel suo ufficio appoggiasse il movimento e come gli attivisti andassero per le strade ed in piazza a fare discorsi, distribuire volantini, innalzare slogan e mandare scritti alla Federazione Autonoma di Pechino perché li trasmettesse alla radio.

Dopo il 4 giugno l’ondata di repressione colpì in maniera sproporzionata i lavoratori e, marginalmente, anche il sindacato. Nonostante Anita Chan abbia sostenuto che la FNSC in virtù della posizione di intermediario assunta nel corso dei disordini sia stata in grado di rafforzare la propria posizione ed abbia ottenuto dalla nuova fazione politica al potere il permesso di continuare ad espandere il proprio potere burocratico anche nel periodo successivo alla crisi, è innegabile come il processo di riforma del sindacato cinese all’indomani della tragedia abbia subito una battuta d’arresto.