lunedì 13 aprile 2009

“L’85% dei lavoratori migranti nel settore edilizio in caso di malattia sceglie di farsi visitare negli ambulatori in nero”



La mattina del 29 marzo un lavoratore migrante trentasettenne di nome Lu Baojun ha avvertito forti dolori allo stomaco mentre si trovava nel cantiere in cui lavorava, nel distretto di Chaoyang a Pechino. Probabilmente deve aver pensato che non si trattava di nulla di grave, perché invece di recarsi in una normale struttura sanitaria pubblica o nell’ambulatorio aperto un anno fa appositamente per i lavoratori dei dintorni, ha chiesto ad un collega, Xiao Liu, di accompagnarlo in un piccolo ambulatorio privato non autorizzato, aperto nei pressi del luogo di lavoro. Stando al racconto di questo collega, i due sono stati ricevuti da un “dottore” intorno alla trentina, il quale si è limitato a fare qualche domanda e a misurare la febbre del malato, senza riscontrare alcuna anomalia. A Lu è stato ordinato di sdraiarsi e gli è stata frettolosamente diagnosticata una semplice gastrite, un comune mal di pancia curabile con un’iniezione intravenosa.

Mentre il liquido veniva lentamente iniettato nel suo corpo, la faccia di Lu diventava sempre più pallida e il respiro più affannoso. Il “dottore” continuava a rassicure il paziente e il suo compagno dicendo che non c’era nulla da preoccuparsi perché si trattava di una normale reazione alla medicina, ma in realtà nessuno sapeva più cosa fare. Xiao Liu allora ha telefonato al pronto soccorso ed è corso a chiamare il fratello di Lu e alcuni colleghi. Quando l’ambulanza è arrivata sul posto intorno a mezzogiorno, gli infermieri hanno trovato alcuni lavoratori che li aspettavano a lato della strada, con Lu in stato di incoscienza portato in spalla dal fratello. Il paziente è stato caricato nella vettura, ma ormai non c’era più nulla da fare: il decesso è avvenuto nel tragitto dal cantiere all’ospedale. Il “dottore” dell’ambulatorio ha accompagnato Lu ed ha spiegato ai medici del pronto soccorso di avergli somministrato della penicillina senza condurre dei test per verificare una sua eventuale allergia, ma una volta arrivato all’ospedale è fuggito senza lasciare tracce, approfittando del caos che si era creato tra i lavoratori in seguito alla notizia della morte del collega.

Questo è accaduto proprio nel momento in cui in diciotto distretti e contee di Pechino era in corso un’azione congiunta da parte di diversi organi ufficiali mirata a “combattere gli ambulatori e le farmacie in nero”. Mentre su tutti i giornali si discuteva del piano di riforma del sistema sanitario nazionale, questo episodio, per molti versi emblematico, ha stimolato un’ulteriore riflessione sul problema dell’accesso alle cure mediche da parte delle “masse svantaggiate”, in particolare i lavoratori migranti, persone che difficilmente possono permettersi di pagare gli alti costi di una visita medica, per non parlare dei medicinali.

Il Xinjingbao (Beijing News) di oggi riprende questa storia e pubblica i risultati un’indagine condotta tra cento lavoratori migranti attivi in tre cantieri del distretto di Chaoyang a Pechino, incluso il luogo di lavoro di Lu Baojun. Alla domanda se essi si siano mai ammalati dopo essere arrivati a Pechino per lavorare, il 90% ha risposto di sì; interrogati sul luogo in cui comprano le medicine in caso di malattia, l’85% ha risposto negli ambulatori dei dintorni, il 10% negli ospedali di vicinato, il 5% nelle farmacie dei dintorni e lo 0% all’ospedale; riguardo alle visite mediche, il 42% ha affermato di scegliere un piccolo ambulatorio nelle vicinanze, il 30% una farmacia dei dintorni, il 13% un ospedale di vicinato e lo 0% un vero e proprio ospedale. Partendo da questi risultati il giornale ha scelto di titolare il servizio “L’85% dei lavoratori migranti nel settore edilizio in caso di malattia sceglie di farsi visitare negli ambulatori in nero”. Il sottotitolo è ancora più emblematico: “l’indagine del nostro giornalista dimostra che la maggior parte di essi è consapevole del fatto che i piccoli ambulatori sono pericolosi e privi di licenza”. Eppure ci vanno lo stesso.



Zhang Minghui, Heizhensuo shuyehou nongmingong shenwang (Un lavoratore migrante muore in un ambulatorio in nero dopo una flebo), dal Xinjingbao del 29 marzo 2009;

Wu Jiang, 85% jianzhu nongmingong kanbing shouxuan heizhensuo (L’85% dei lavoratori migranti nel settore edilizio in caso di malattia sceglie di farsi visitare negli ambulatori in nero).


3 commenti:

  1. L'operato di questo sedicente medico mi ricorda quello di un suo "collega" (ir)responsabile dell'infermeria in un'azienda italiana per cui lavoravo, vicino a Tangshan. La cura standard, in alcuni casi prescritta senza visita, prevedeva una flebo o ciclo di flebo fino al ristabilirsi del paziente. All'epoca non ho avuto notizie di morti causate da questa pratica ma è anche vero che l'ho visto in azione solo per qualche mese...

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  2. anonimo D., questa pratica non è il classico 挂水 cui ricorrono (recandosi in ospedale) un sacco di cinesi del tipo ho il raffreddore --> vado a gua shui? Qualcuno mi illumina meglio su questa pratica assai diffusa?
    Sorry se un po' off topic

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  3. che si trattasse di guashui è possibile che lo credesse anche l'operaio, poi morto. entrambi avremmo dovuto chiedere se si trattava solo d'acqua (o quel che tradizionalmente si inietta)! in effetti ci vorrebbe qualcuno con info più tecniche

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