domenica 31 maggio 2009

La rete in Cina tra manipolazione dell’informazione e intimidazione giudiziaria


In uno dei miei post precedenti sostenevo che la peculiarità dei netizen cinesi sta non tanto nel loro numero, quanto nell’attivismo e nel senso di coesione che essi continuano a dimostrare a dispetto del contesto molto difficile in cui si trovano ad operare. E’ chiaro che le potenzialità della rete come strumento di mobilitazione di massa non sfuggono alle autorità cinesi, le quali da anni sono alla ricerca di strumenti adeguati per il controllo dell’informazione sul web. In base ad una mia sommaria analisi, oserei dire che ad oggi sono tre le strategie principali di cui il governo cinese si serve per tenere sotto controllo il “popolo della rete”: la censura, la manipolazione dell’informazione e l’intimidazione per via giudiziaria. Se i media occidentali tendono a privilegiare la problematica della censura, le altre due strategie – più subdole, più complesse e pertanto più pericolose – spesso rimangono in secondo piano.


La manipolazione dell’informazione

Consideriamo innanzitutto la questione della manipolazione dell’informazione. In Cina esiste un vero e proprio esercito di persone che sono pagate esclusivamente per postare su internet commenti orientati nella direzione stabilita di volta in volta dai loro datori di lavoro, nella maggior parte dei casi le autorità locali. Questi manipolatori professionisti vengono chiamati “partito dei cinquanta centesimi” (wumaodang), un nomignolo che viene loro assegnato in base a quello che si vuole sia il loro compenso per ogni singolo commento pubblicato in rete. Nella migliore delle ipotesi essi si limitano a pubblicare apologie nei confronti delle autorità, nella peggiore mettono in circolazione menzogne talmente verosimili che un lettore non riesce più a distinguere il vero dal falso, cadendo in un vortice di contraddizioni che inibisce una sua qualsiasi presa di posizione.
Per avere un esempio di apologia, basta cliccare su questo link, che rimanda ad una discussione attualmente in corso sul forum Tianya. Il post iniziale è come segue: “Prima non lo pensavo, ma ultimamente ho visto molte foto e anche alcuni filmati del BOSS [sic, riferito al presidente Hu Jintao] e mi sono reso conto che il nostro BOSS non solo è assolutamente maestoso e serio nelle maniere e nei modi, ma anche che la vera conoscenza non è appariscente…”. Il dibattito che segue sul forum lo può seguire anche chi non sa il cinese, perché non è nient’altro che una lunga serie di fotografie e brevi filmati del presidente Hu Jintao accompagnati da commenti estasiati.
Per avere un chiaro esempio di manipolazione dell’informazione invece si può considerare quanto è avvenuto nel giugno dell’anno scorso, in occasione dell’incidente di massa di Weng’an nel Guizhou, quando il presunto insabbiamento dell’omicidio (o suicidio?) di una ragazzina da parte della polizia ha innescato una reazione a catena che ha travolto i funzionari locali e ha rischiato di estendersi a tutta la provincia, se non a tutto il paese. Allora il “partito dei cinquanta centesimi” è intervenuto diffondendo su internet voci contrastanti che nessuno ha mai avuto modo di verificare, gettando fango sugli stessi famigliari della vittima e difendendo l’operato delle attività locali. Di fronte a versioni dei fatti completamente opposte, nessuno è stato più in grado di distinguere la verità dalla menzogna. A confronto dell’ingenuità di strategie come l’encomio del grande “boss” descritto in precedenza, azioni come questa fanno rabbrividire per le loro potenziali implicazioni per il futuro dell’informazione sulla rete, in Cina come nel resto del mondo.

L’intimidazione giudiziaria

Quella dell’intimidazione giudiziaria è una strategia che le autorità cinesi hanno deciso di adottare solo di recente, come risulta evidente se si prendono in considerazione un paio di casi che hanno suscitato scalpore negli ultimi mesi.
Innanzitutto vi è la storia di Wang Shuai, un giovane di ventiquattro anni originario della contea di Lingbao nello Henan, ma da tempo residente a Shanghai per lavoro. Il 12 febbraio scorso, mentre si trovava a Shanghai, egli ha pubblicato un post in cui denunciava alcuni abusi delle autorità della propria contea di origine nell’ambito della requisizione delle terre dei contadini per far spazio ad una nuova area industriale. Allora questa sua denuncia è stata immediatamente ripresa dai principali forum e portali cinesi, un fatto che non solo ha sucitando l’indignazione del pubblico, ma ha anche attirato l’attenzione delle autorità. Trovandosi lontano da casa, Wang pensava di essere al sicuro da eventuali ritorsioni, ma il 6 marzo ha avuto una brutta sorpresa: due poliziotti in borghese della polizia di Shanghai, accompagnati da due poliziotti provenienti da Lingbao, hanno prelevato il giovane sul posto di lavoro e lo hanno posto in detenzione amministrativa.
Né gli amici né i famigliari hanno ricevuto alcuna notifica. Dal 6 al 9 marzo, Wang Shuai è stato tenuto in guardina a Shanghai, poi è stato trasferito a Lingbao in treno, incatenato alla sua cuccetta tra gli sguardi sospettosi ed impauriti degli altri passeggeri. Solamente il 13 marzo ha riottenuto la libertà, ufficialmente per insufficienza di prove, in realtà in seguito ad un accordo informale stretto tra la sua famiglia, avvertita nel frattempo, e la polizia locale. Spinto dalla pressione del “popolo della rete”, a metà aprile il vice-capo della provincia dello Henan, nonché direttore del dipartimento della pubblica sicurezza provinciale, ha ammesso pubblicamente che l’arresto è stato il frutto di un errore degli organi di polizia locali e ha affermato che sono già state avviate le procedure per garantire a Wang Shuai un rimborso statale. Intervistato a inizio aprile dal Qingnianbao, Wang ha commentato: “All’inizio pensavo solo di aiutare gli amici della contea a fare qualcosa, il risultato è che mi sono messo in guardina. Ripensandoci adesso, il fatto di essere riuscito ad uscire è già una grande fortuna: si può dire che ho imparato la lezione”.
Il secondo caso è avvenuto in Mongolia Interna e si è svolto in un arco di tempo di oltre due anni, tra il 2007 e il 2009. Pur presentando caratteristiche analoghe al caso già descritto, esso non ha suscitato una reazione altrettanto forte nell’opinione pubblica cinese. Dopo aver ricevuto la telefonata di un amico che si lamentava della requisizione illegale di terreni agricoli nelle sua terra d’origine, Wu Baoquan, un uomo d’affari di trentanove anni originario della città di Ordos in Mongolia Interna da tempo residente a Qingdao nello Shandong, nel settembre del 2007 ha deciso di pubblicare un post di denuncia. L’unico risultato che ha ottenuto è stato che il 16 settembre, appena dieci giorni dopo la pubblicazione del post, tre poliziotti di Ordos hanno bussato alla sua porta e lo hanno riportato nella città natale, mettendolo in detenzione amministrativa per dieci giorni. Il giorno successivo anche l’amico che gli aveva raccontato i fatti è andato incontro alla stessa sorte.
Per nulla intimidito da questa esperienza, Wu Baoquan nell’ottobre e novembre del 2007 ha pubblicato un’altra serie di post in cui, con toni esasperati, portava all’attenzione del pubblico nuovi problemi legati alla situazione dei contadini del suo luogo d’origine, senza però suscitare grandi reazioni da parte dei netizen. Il 17 aprile del 2008 mentre si trovava nella città di Shenyang nella provincia del Liaoning, egli è stato nuovamente arrestato dalla polizia di Ordos, questa volta con l’imputazione di aver diffamato altre persone e il governo diffondendo informazioni fasulle. Condannato in primo grado ad un anno di carcere per diffamazione, Wu Baoquan ha deciso di far ricorso, ma non ha ottenuto altro che un inasprimento della pena: il 10 marzo 2009 egli è stato condannato a due anni di carcere. Un ulteriore ricorso ha confermato questa sentenza, che il 17 aprile 2009 è passata definitivamente in giudicato.
Una delle ragioni per cui questi due casi hanno fortemente allarmato i netizen cinesi, è il fatto che le indagini di polizia hanno coinvolto gli organi della pubblica sicurezza di province completamente differenti. Si tratta di un segnale da non sottovalutare in un contesto frammentato come quello cinese, in cui ogni provincia ed ogni dipartimento tende a pensare e ad agire per conto proprio, sollevando in continuazione questioni di giurisdizione o competenza. Ciò dimostra la volontà delle autorità cinesi di rafforzare la cooperazione per far fronte comune nei confronti delle minacce provenienti dalla rete.

Conclusioni

Come ho già avuto modo di scrivere, il “popolo della rete” è una realtà estremamente attiva in Cina e come tale costituisce un motore di cambiamento sociale con enormi potenzialità. Eppure, nonostante ci siano alcune ragioni per essere ottimisti, sono ancora molte le sfide con cui i netizen cinesi devono confrontarsi. Considerando il fatto che la censura è facilmente aggirabile e l’intimidazione giudiziaria, per quanto minacciosa, rimane una realtà marginale difficilmente applicabile nei casi più sensibili a causa del senso di solidarietà intrinseco al “popolo della rete” (il principio in questo caso è quello dell’”ucciderne – metaforicamente – uno per educarne cento”), il vero problema rimane quello della manipolazione dell’informazione: in assenza di media completamente liberi, la possibilità di occultare le realtà più scomode attraverso la creazione sistematica di una cortina di menzogne rimane l’unica carta vincente nelle mani delle autorità.

1 commento:

  1. Volevo ringraziarti per gli interessanti spunti che il tuo blog mi ha fornito nell'elaborazione della mia tesina da presentare all'esame di maturità. Il contenuto verte sul controllo dell'informazione e i dati che ho trovato qui erano proprio quelli che cercavo per sviluppare la questione cinese. Grazie!

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