giovedì 8 gennaio 2009

Ancora sulla disoccupazione dei giovani istruiti


Non mi piace ripetermi, ma anche oggi la questione della disoccupazione tra i giovani istruiti è sulle prime pagine dei principali quotidiani nazionali. Sulla seconda pagina del Jinghua Shibao (Beijing Times) si può leggere una breve nota dell’agenzia d’informazione statale Xinhua:

“Ieri si è tenuta una riunione del Comitato Permanente del Consiglio degli Affari di Stato per adottare delle misure su come portare avanti correttamente il lavoro relativo all’occupazione dei giovani con diploma di scuola superiore o di livello più elevato. In questo incontro è stato rilevato come i diplomati delle scuole superiori siano una preziosa risorsa umana per il nostro paese. Per affrontare l’estendersi dell’attuale crisi finanziaria internazionale e la situazione estremamente grave delle tendenze occupazionali nel nostro paese, è necessario che l’occupazione dei diplomati delle scuole superiori venga messa al primo posto nel lavoro relativo all’occupazione”.

Tra le sette misure che vengono adottate, in gran parte mirate alla promozione dell’occupazione “di base” dei giovani istruiti nelle aree rurali e nelle città, la grande novità sembra essere il provvedimento in base al quale le amministrazioni di livello cittadino in Cina sono tenute ad eliminare i limiti dovuti al sistema di registrazione familiare (hukou) per quelle imprese che assumono diplomati o laureati provenienti da luoghi differenti. Si tratta di una decisione estremamente importante, in quanto il meccanismo della registrazione familiare, in vigore dalla prima metà degli anni Cinquanta, da decenni costituisce il limite più grosso alla mobilità interna in Cina, impedendo di fatto la creazione di un mercato del lavoro integrato.
Non si può però trascurare il fatto che quest’ultima decisione del governo cinese prevede significative eccezioni, vale a dire le quattro municipalità sotto la diretta amministrazione del governo centrale: Pechino, Shanghai, Tianjin e Chongqing. Questa scelta, dettata dalla necessità di prevenire un aggravamento nei già gravi squilibri nella distribuzione delle risorse umane nel paese, continuerà a rendere difficile la vita sia per quelle imprese del settore privato che intendono reclutare talenti in queste città, sia per quei giovani diplomati e laureati che intendono proseguire la propria carriera in un’azienda non pubblica. Infatti la difficoltà di ottenere lo hukou cittadino (in genere concesso solamente a impiegati nel settore statale e a pochi altri eletti) è un forte deterrente per coloro che vorrebbero lavorare in una società privata, a dispetto dei salari nettamente più elevati.
Che cos’è il meccanismo dello hukou? Stabilito nella prima metà degli anni Cinquanta come metodo per controllare i flussi migratori dalla città alla campagna, collassato in seguito alla spinta all’industrializzazione del biennio del Grande Balzo in Avanti e ripristinato con rinnovato rigore solamente nel 1960 in piena crisi economica ed urbanistica, il sistema della registrazione familiare dello hukou rimane tuttora in vigore in Cina, e con esso la rigida distinzione tra residenti urbani e residenti rurali. In base al sistema dello hukou i cittadini cinesi sono titolati a godere dei servizi pubblici di base (educazione per i figli, assistenza sanitaria, sussidi per gli alloggi, etc.) solamente nel loro luogo di provenienza oppure, più precisamente, nel luogo ove è situata la loro unità di lavoro. Per più di vent’anni, dai primi anni Sessanta all’inizio degli anni Ottanta, il sistema dello hukou, unito ad altre misure quali il razionamento dei beni di prima necessità e l’assenza di un mercato dei generi alimentari e dei beni di consumo, ha reso impermeabile la barriera tra città e campagne, rendendo quasi nulle le migrazioni interne.
Le cose hanno iniziato a cambiare solamente con l’avvio delle riforme, in particolare con l’introduzione del sistema di responsabilità familiare nell’agricoltura e con la conseguente emancipazione dal lavoro agricolo di un’enorme forza lavoro rurale. Mallee ha proposto un’efficace periodizzazione in quattro fasi delle riforme: a) una prima fase (1978-84), in cui la riforma dell’agricoltura si diffuse rapidamente ma la mobilità del lavoro era ancora limitata; b) una seconda fase (1985-88), in cui si verificò una massiccia crescita dell’industria rurale e le migrazioni iniziarono ad assumere un carattere di massa; c) una terza fase (1989-91), in cui l’economia entrò in crisi e la mobilità del lavoro rurale continuò a crescere, assumendo i connotati di una minaccia; d) il periodo successivo al tour meridionale di Deng Xiaoping (dal 1992 a oggi), in cui l’economia ha ripreso a crescere con forza ma i frutti della crescita vengono distribuiti con uno squilibrio sempre maggiore.
Ulteriori timidi tentativi di riforma del meccanismo dello hukou sono stati portati avanti negli anni tra il 1997 ed il 2002, e tuttora si continua a discutere di rivedere da cima a fondo il meccanismo, teoricamente ancora regolato da un regolamento amministrativo promulgato nel 1958, in particolare per quanto riguarda le politiche discriminatorie tra possessori di hukou urbano ed hukou rurale. Se infatti le riforme hanno notevolmente rilassato il ruolo dello hukou nell’ambito del controllo delle migrazioni interne, ciò che è finora rimasto assolutamente invariato è la sua centralità nella determinazione della fetta di risorse pubbliche a cui l’individuo è intitolato: per una persona priva di hukou cittadino il fatto di non poter godere di cure mediche a basso costo oppure di non poter mandare i propri figli in un istituto pubblico della città ove temporaneamente lavora rimane tuttora un enorme problema.
Il fatto che le restrizioni dovute alla registrazione familiare siano cadute sicuramente è un notevole passo avanti per la creazione di un mercato del lavoro integrato in Cina. Resta il fatto che le nuove norme si applicano solamente per un piccolo segmento “privilegiato” della popolazione migrante in Cina, vale a dire quello degli studenti: ne rimangono esclusi la stragrande maggioranza dei migranti vale a dire quei duecento milioni di lavoratori migranti che hanno abbandonato le campagne e si sono riversati nelle città. Per questi le discriminazioni rimangono tuttora in vigore.

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