giovedì 22 gennaio 2009

Paradossi olimpici


Alla fine del mese di luglio dello scorso anno mi trovavo a Hong Kong per rinnovare il visto. Allora fervevano i preparativi per le Olimpiadi ed era praticamente impossibile ottenere un visto rimanendo in Cina: le voci si rincorrevano, non c’era nessuna certezza e l’unica vaga possibilità era quella di partire per uno dei paesi vicini e sperare nella buona sorte. A me è andata relativamente bene, visto che alla fine grazie ad un’agenzia specializzata dell’ex colonia britannica sono riuscito ad ottenere un visto turistico di ben tre mesi (con il quale sarei stato obbligato ad uscire dal paese ogni trenta giorni, ma questa è un’altra storia…).

Ricordo che quando ho dovuto compilare il modulo per la richiesta del visto, un’impiegata mi ha avvertito di non scrivere assolutamente “Pechino” nella casella della destinazione, altrimenti avrei potuto stare certo che la mia richiesta sarebbe stata rifiutata. Se, al contrario, avessi scritto il nome di una qualsiasi altra città non avrei avuto alcun problema. Mi è sembrato strano, ci ho riflettuto un po’, ma alla fine sono giunto alla conclusione che non sempre c’è una risposta a tutto, specialmente se si tratta di quello che passa per la testa dei burocrati cinesi.

Questo piccolo aneddoto mi è tornato in mente oggi, quando sui giornali ho letto che l’Ufficio statistico di Pechino ha finalmente emesso alcuni dati sull’ultimo anno. Tra essi infatti spiccano alcune cifre relative al turismo: nel 2008 i turisti arrivati in città sono stati 3.790.000, il 13% in meno rispetto al 2007. Si tratta di un vero e proprio tracollo ed è la conferma di quanto tutti sospettavano da mesi: dal punto di vista dell’afflusso turistico, le Olimpiadi sono state un fallimento. Ricordo di aver sentito storie di padroni di casa inferociti per le politiche governative che impedivano agli stranieri di entrare in città e affittare le loro case, di persone che vivevano e lavoravano a Pechino da anni costrette a partire in tutta fretta, di regolamenti fantasma che nessuno aveva mai avuto modo di leggere. Tutte queste storie andavano in una sola direzione: gli stranieri durante le Olimpiadi erano “relativamente” benvenuti.

Le persone che sono state a Pechino durante le Olimpiadi si sono trovate di fronte a una città sterilizzata: via gli ambulanti dalle strade, via i migranti dai cantieri, via gli studenti di altre città (a meno che non fossero stati selezionati come volontari, ovviamente), via i DVD pirata, via i bordelli, via i camion, etc. etc. Se la città non era vuota, ci mancava davvero poco. E non che fosse una cosa del tutto negativa: per la prima volta da anni il traffico scorreva tranquillamente e non era necessario sprecare ore in coda per fare cinque chilometri. Anche la qualità dell’aria era nettamente migliorata e finalmente si respirava.

Ricordo un altro aneddoto che può servire ad illustrare la situazione della Pechino olimpica: vicino alla casa in cui abitavo c’era un bordello, una delle classiche finte botteghe da parrucchiera che si trovano a migliaia nelle città cinesi. Nel periodo delle Olimpiadi, quando un’ondata moralizzatrice si è abbattuta sull’intero paese, i proprietari hanno avuto la brillante idea di trasformare la loro piccola azienda in un negozio di fiori: hanno cambiato l’insegna in “fiori freschi” e hanno fatto sparire le ragazze. Ogni sera quando tornavo a casa mi trovavo a passare di fronte a questa vetrina che dava su una stanza vuota, illuminata di rosso, con una decina di fiori di plastica su una parete: la porta era sempre aperta e il locale sembrava incustodito, ma chissà cosa c’era dietro il paravento. Qualche giorno dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi ecco che le ragazze erano apparse di nuovo e il bordello era tornato apertamente alla sua originaria attività. Che vergogna! Avrebbero almeno potuto aspettare che finissero le Paralimpiadi…

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