lunedì 19 gennaio 2009

Un esercito di nuovi disoccupati invade le campagne


I documenti emanati dal vertice della Federazione Nazionale dei Sindacati Cinese (FNSC), il sindacato ufficiale cinese, non avranno un gran valore pratico, ma sicuramente sono un ottimo indice per individuare di volta in volta le tematiche relative al lavoro più scottanti del momento. Se si guarda solamente all’ultima settimana, è possibile scoprire che in pochi giorni il sindacato ha emanato, una dopo l’altra, ben due circolari che in un modo o nell’altro vanno a toccare la delicata questione della tutela dei lavoratori migranti. In questo caso l’evidente sottinteso è che la scure della crisi economica si è già abbattuta con violenza sulla fascia più debole della nuova classe operaia cinese, cancellando un numero ingente di posti di lavoro e costringendo milioni di persone a far ritorno anticipatamente ai propri villaggi.

La prima delle due circolari è stata emanata il 13 gennaio scorso e contiene un sostanziale richiamo alle aziende a rispettare il ruolo del sindacato nel caso di tagli alla forza lavoro. In essa si può leggere che “è necessario rafforzare la supervisione sui tagli alla forza lavoro delle imprese, mentre, qualora l’azienda sia costretta a procedere a licenziamenti di massa per ragioni economiche, essa dovrà trattare a fondo con il sindacato e informare il locale ufficio amministrativo del lavoro del suo piano d’azione”. Inoltre viene rivolto un appello alle imprese di proprietà dello Stato perché in questo difficile frangente esse rinuncino ad effettuare dei licenziamenti, per non alimentare un già di per sé preoccupante tasso di disoccupazione.
I contenuti della circolare non sono niente di sconvolgente: le richieste avanzate dal sindacato sono quantomeno pleonastiche, considerato il fatto che esse rispecchiano fedelmente quanto già previsto dalla legislazione sul lavoro cinese, la quale assegna agli organismi rappresentativi dei lavoratori un ruolo eminentemente consultivo nei tagli alla forza lavoro. La necessità di pubblicare questo richiamo pertanto va letta in un altro senso: si tratta di un atto d’accusa verso quelle imprese che per difficoltà economiche o semplice malafede approfittano della crisi finanziaria globale per tagliare drasticamente la manodopera, senza rispettare neppure le misure di tutela minime previste dalla legge cinese.
La seconda circolare (definita “urgente”) riguarda il ritorno a casa dei lavoratori migranti. La direzione della Federazione sindacale richiama tutti i propri organismi locali a tutti i livelli ad intervenire prontamente per assistere ed organizzare i viaggi di ritorno dei lavoratori migranti, fornendo informazioni e risolvendo controversie. Nello stesso documento si esortano anche le imprese ad alta concentrazione di lavoro a mettersi in contatto con le agenzie responsabili dei trasporti, agevolando la distribuzione dei biglietti tra i lavoratori. Questi richiami sicuramente vanno letti nell’ottica del grande esodo del capodanno lunare, ma tra le righe non può sfuggire un certo tono allarmato che sicuramente nasce da sconvolgimenti economici e sociali ben più profondi, radicati nell’evolversi dell’attuale crisi finanziaria.
Paradossalmente, il tasso di disoccupazione ufficiale della Repubblica Popolare Cinese viene calcolato senza prendere in considerazione il numero dei migranti che non riescono a trovare un lavoro. Non ci sarà da stupirsi se nei prossimi mesi il tasso di disoccupazione cinese rimarrà stabile oppure addirittura scenderà: è già successo nel 1997, all’apice delle riforme, quando decine di milioni di persone sono state licenziate, e probabilmente succederà ancora. Le ragioni di questo paradossale fenomeno sono molto semplici: da sempre l’ufficio statistico cinese rifiuta di prendere in considerazione alcune realtà che hanno un’incidenza potenzialmente enorme sul tasso di disoccupazione. Non si contano i lavoratori migranti, non si conta il personale statale in cassintegrazione e non si contano i laureati che non trovano lavoro.
Per quanto riguarda i migranti, e più in generale per la disoccupazione nelle campagne, questa omissione nasce da un presupposto errato, in base al quale si crede (o si vuole far credere) che i contadini-lavoratori non possono essere considerati disoccupati a tutti gli effetti perché, nel caso in cui nelle città trovassero dei problemi, essi possono sempre rientrare nei loro villaggi, riprendendo a coltivare il pezzo di terra che per legge è stato assegnato alle loro famiglie. Di fatto, la realtà è molto più complessa, con molti abitanti delle campagne che da tempo hanno ceduto la terra ad altri oppure si sono visti confiscare gli appezzamenti da ufficiali locali ansiosi di promuovere lo sviluppo del territorio sottoposto alla loro amministrazione. E’ innegabile il fatto che in Cina, la disoccupazione è un fenomeno che esiste nelle campagne come nelle città.
In assenza di dati ufficiali, le uniche cifre attendibili nascono dal lavoro di giornalisti e di persone impegnate in organizzazioni non governative. L’ultimo numero dell’autorevole rivista Caijing riporta un notevole pezzo di giornalismo investigativo, intitolato “Indagine sulla disoccupazione dei lavoratori migranti”, che ha tenuti impegnati per ben tre mesi sette giornalisti in sei differenti provincie. Per citare solamente la cifra più sconvolgente che vi viene riportata, al 20 dicembre (ben prima dell’inizio delle festività del capodanno lunare) erano stati dai dieci ai quattordici milioni i lavoratori che avevano fatto ritorno ai loro paesi , e questo numero non rappresenterebbe altro che la semplice avanguardia dell’esercito dei nuovi disoccupati. Se si considera che le stime sul numero dei lavoratori migranti in Cina variano dai 140 ai 220 milioni, questa cifra può rappresentare un preoccupante 5-10% della forza lavoro migrante, senza contare il fatto che la maggior parte di essi è di mezza età e costituisce la colonna portante del bilancio familiare. L’intero sistema dei consumi cinese rischia di collassare.
La situazione è drammatica, ma questo è solamente l’inizio. Finite le festività, molti di coloro che ora stanno tornando a casa rientreranno in città nel tentativo disperato di trovare un nuovo lavoro. Il rischio di disordini sociali su vasta scala è enorme, tanto più se si considera il fatto che non solo i lavoratori migranti se la stanno passando male, ma anche i giovani laureati e non pochi colletti bianchi. Mai dal 1989 ad oggi la situazione è sembrata tanto grave: riuscirà il governo cinese ad evitare il peggio?

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